Riprendo conoscenza. Sono su un tavolo in una stanzona, probabilmente un refettorio. Sono circondato da un gruppetto di persone, quasi tutti uomini. Alcuni indossano abiti sgarrupati, di telaccia. Due indossano dei sai scuri, da frati. Parlottano tra loro e parlano con me. Il mio riprendermi sembra portare il buon umore nel gruppo. Tutti mi stanno toccando e ridono tra loro.
Sono stato spogliato, sono in maglietta. Mi hanno tolto gli stivali.
Che faccio?
Cerco di fare buon viso alla situazione. C’è di buono che le persone nelle mie immediate vicinanze non sembrano malintenzionate. Certo, non mi mollano un momento: dovunque vada ho sempre gli occhi addosso, viene qualcuno a toccare i miei vestiti, i miei pantaloni, o anche scherzare sulla mia altezza. Sono, in effetti, il più alto di tutti (per la cronaca io sono alto 1.85). Sembro anche il più in salute: tutti quanti hanno i denti un po’ storti (quando ce li hanno) e un fisico un po’… patito.
Dopo lo spaesamento iniziale mi rendo conto di aver dormito parecchio: è mattina (molto presto in verità, saranno le sei) e nel refettori servono una colazione. A mangiare ci sono una trentina di persone, rappresentanti di una piccola umanità molto variegata. Sembra tutta gente un po’ male in arnese. Ci stanno un paio di vecchioni, un paio di mamme con bambini piccoli. Le donne mangiano da un lato della stanza, gli uomini dall’altro. Si mangia serviti dai frati, prima di mangiare si prega (in latino)
Viene servita una colazione semplice, zuppona di cereali, pane, e una ciotola di birra. Una birra che fa schifo, eh, acida e sgasata e calda, ma comunque la accetto. Buttare giù qualcosa mi rinfranca.
È chiaro che ci si aspetta che io lavori, ma è anche chiaro che nessuno mi obbligherà. Il lavoro offerto nel cantiere di Saint Germain è semplice, principalmente aiutare con lo spostamento dei pesi, scavare per le fondamenta, scortecciare della legna. Ci sono degli operai specializzati e un paio di capetti che dirigono.
Persone che hanno colpito la mia attenzione:
– frate boss delle cucine, dall’occhio vispo e il naso rubizzo
– madre che allatta in un angolo, in silenzio, il volto segnato dalle emozioni
– tizio spaesato quasi quanto me: capelli rossi, non parla la lingua locale, è vestito con abiti di discreta fattura, un giustacuore di cuoio, un cappuccio di lana cotta. Spesso beve da una sua fiaschetta e dà l’idea di stare aspettando qualcuno
– capocantiere 1: grasso, unto, e zoppica da un piede. Responsabile dei lavori di scavo e delle robe di grossa fatica, mi luma un casino
– capocantiere 2: faccia tagliente e nasone. Responsabile di impalcature e verticalità. Mi guarda come si guarda una carogna vecchia di qualche settimana
Se non voglio lavorare posso andarmene. O posso rimanere ospite della carità del monastero, per un po’ (ma se lavoro è meglio). Mi pare di capire che a sera arriverà qualcuno di importante, ma non ho capito bene chi.
Riguardo alla questione del confondermi, avrei preferito non orientarmi. Comunque, se questa è Saint Germain, mi sa che dove mi sono svegliato ieri era proprio Notre Dame, e l’isola sulla Senna era l’Île de la Cité . Ma manca la chiesa. E mancavano tipo tutti i ponti.
[Marcel è di parigi e conosce bene la città. Siete quindi autorizzati ad andare su google maps se volete dare un’occhiata a come siamo messi, grossomodo. Quello che trovate sono ovviamente i ricordi di Marcel, che non combaciano al 100% con la realtà in cui si trova ora]
Do inizio al grande piano “stare schiso”. Non mi sento un avventuriero, non mi sento un protagonista, mi manca la mia casa, mi manca la mia fidanzata, mi manca il mio divano.
Mi infilo tra i villici, letteralmente, e passo la giornata a fare quello che mi dicono. C’è da dire che, anche se fisicamente intenso, non è un lavoro durissimo. Cioè, loro la prendono con grande calma. Spesso la gente canta (in un latino che anche al mio orecchio ignorante suona un po’ maccheronico) e, tra grandi sorrisi e parole ripetute piano ci si intende.
Osservando un po’ le dinamiche sociali mi pare chiara una stratificazione della gente. La gerarchia è:
1) in cima, fuori scala, i cittadini. Gente che è lì pagata, operai specializzati e capetti. Questi quando finisce la giornata si ritirano, o hanno casa in città o da qualche altra parte, ma evidentemente non dormono al monastero
2) tra gli ospiti del monastero quelli che lavorano (come me) sono trattati con grande rispetto. Spesso passa un frate con un secchio dell’acqua per farci bere e si vede che sono tutti molto grati. Non riceviamo paga e non abbiamo nessuno spazio personale, ma si vede che i monaci sono felici di averci lì
3) un po’ peggio sta chi è lì ma non può lavorare. Ad esempio c’è una madre, che avevo già adocchiato. Nessuno pretende niente da lei, ha con sé un infante – che piange tantissimo – e tende a stare per i cazzi suoi. Peraltro il bambino – che avrà qualche mese – è fatto su in certe pezze che continuano a sporcarsi e che lei continua a lavare. La gente la guarda con un misto di compassione e durezza. Lo stesso trattamento è riservato ad un paio di vecchioni, che passano la giornata scaldandosi con il poco di sole che buca le nuvole
4) in fondo alla scala sociale c’è chi non vuole lavorare. Sono pochi, uno è il tizio rosso di capelli che avevo visto. Nessuno li mena, ma è chiaro che sono figure non gradite. In refettorio vengono serviti per ultimi, e si prendono un po’ gli avanzi, la zuppa quando ormai c’è quasi solo acqua, il pane raffermo dei giorni prima.
Io mi sento…
Non lo so come mi sento. È tutto strano e tutto da digerire. C’è una parte di me che vuole ignorare il problema e fare finta di niente. Concentrarsi sull’immediato, sui problemi pratici. Da questo punto di vista fare un lavoro manuale mi aiuta, uso le mani, spostare pesi mi dà la sensazione di stare combinando qualcosa.
E però lo so che c’è dell’altro. Che prima o poi dovrò affrontare la questione. Per il momento ignoro il problema.
Oggi il tempo è un po’ migliore, e il cantiere è in fermento. L’organizzazione è semplice: chi non ha niente da fare si raccoglie sotto il porticato davanti al refettorio (anche per riposarsi e tirare il fiato). Ho occasione di fare due chiacchiere, e tutti mi guardano, ancora, come fossi un alieno. Ma visto che sorrido e metto fuori la mia faccia migliore dopo un po’ vengo accettato come “grosso e amichevole”.
Ogni tanto arriva qualcuno a fare su gente per dei compiti. Volendomi rendere utile mi faccio avanti. Avevo già notato che uno dei due capicantiere, quello responsabile dei lavori di scavo, mi luma con occhi avidi. Quando mi offro volontario si illumina e mi mette subito al lavoro. Sono mansioni semplici: oggi si scavano fondamenta, e si scaveranno ancora per giorni. Si tratta di fare un mega buco nel terreno (un po’ fangoso, un po’ argilloso) e rinforzarlo con pietre e legni in modo che non si richiuda.
Passo la mattinata così. Ogni tanto risalgo a prendere un po’ d’aria. A mezzodì suonano le campane e tutti si fermano per il pranzo. Il capocantiere è molto contento di me e mi parla sforzandosi di spiegarmi qualcosa. Si capisce che deve essere abituato a parlare, anche con gente straniera. Prova a parlarmi in un paio di altre lingue, una con accenti molto aspri, un’altra che ricorda vagamente l’inglese. Mi pare di capire che mi stia facendo un qualche tipo di proposta commerciale. Io abbozzo e lui capisce che non sto capendo, sorride e mi lascia pranzare. Aggiunge però qualcosa sull’imparare la lingua, sul tornare da lui.
Questa è dura: un cantiere così, nel 2019, a Parigi lo chiuderebbero nel giro di un minuto. Ma qua la gente è tutta tranquilla, anche quando salgono su impalcature fatte di legni e corde consumate. Comincio ad adocchiare dei punti che secondo me sono o diventeranno pericolanti, ma ho bisogno di un piano d’azione più preciso.
La mia roba (giaccone ed elmo) sta appallottolata in una stanza. Gli altri ospiti del monastero hanno anche loro qualcosa (ma poca roba) e ognuno si fa un suo fagotto. Nessuno sembra preoccupato per i furti
Il lavoro pomeridiano prosegue finché non inizia a imbrunire, grossomodo verso le sei. Vista la full immersion sto iniziando a raggranellare qualche parola, e quando ascolto i discorsi della gente il senso grossomodo inizia a passare. Ad esempio capisco che ci sarà in visita stasera, prima di cena, una persona importante, tale Sugerius, un nome che in effetti mi dice qualcosa, e che la gente continua a pronunciare accoppiato al nome di un’altra chiesa, Saint Denis.
Poco prima dell’arrivo di Sugerius i lavori vengono sospesi e veniamo fatti grossomodo rassettare – viene offerta la possibilità, per chi vuole, di fare un bagno. Cioè, tutti si puliscono mani e faccia, ma c’è proprio la scelta di fare un bagno completo.
Che faccio?
[Update scheda personaggio:
Stato di salute: molto buono, un po’ stanco dopo una giornata di lavoro
Stato mentale: molto cauto, un po’ malinconico]
Bene, lavarsi. Vengo accompagnato assieme ad altre quattro persone in una stanza vicina alle cucine dove ci sono due grandi tinozze piene d’acqua, sopra le quali sono sospesi dei panni che fungono da tenda. La stanza è piastrellata e ci sono varie canaline e buchi nei pavimento (da cui sale un bel freddo).
A sovraintendere le operazioni c’è un monaco dalle orecchie a sventola e lo sguardo arcigno. Quando arriviamo alcuni monaci hanno evidentemente appena finito di lavarsi e si stanno asciugando, nudi, davanti al grande camino in cui brucia un ceppo.
Gli altri manovali non sembrano particolarmente imbarazzati, e davanti al mio tentennare un paio mi passano davanti e, allegri, si spogliano, ripongono i vestiti in un angolo asciutto ed entrano nelle tinozze. Per lavarsi si sfregano con delle pezze di lana. Come sapone pare che usino una sorta di panetto, molle e grigio, della consistenza dello strutto, che viene dispensato dal monaco di guardia.
Dopo poco viene il mio turno e faccio l’errore di guardare l’acqua in cui dovrei immergermi. A voler essere poetici si può dire che è di un bel tinta nocciola. Che faccio, vado?
[Alla domanda “che persona sono” rispondo: la persona che mi dite voi. È un vigile del fuoco, di default non me lo immagino come un signorino schizzinoso, è una persona pratica e fisica. Ma se voi mi dite che le cose vanno decise in un senso o nell’altro vi ascolto e incamero]
Alè!
Mi spoglio, metto in salvo i vestiti, piglio il “sapone” e mi immergo.
L’acqua è… oleosa. Mi sfrego meglio che riesco, soprattutto i resti di fango e di sudore. Mi concentro sull’essere rapido e efficiente – e comunque l’acqua calda fa piacere, per quanto sporca. In generale c’è freddo, costantemente.
Sento che c’è qualcosa di strano però, ma ci metto un momento a mettere a fuoco. Ancora più del solito, ora tutti mi guardano. Un paio hanno anche mormorato qualcosa e sembrano indicarmi.
Non è facile capire se mi hanno visto addosso qualcosa o se è perché, ad esempio, rispetto a loro sono in una forma straordinaria. Comunque io mi vedo a posto.
No, niente marchi o altri segni che mi saltano all’occhio.
Esco dalla tinozza, mi asciugo come posso e poi accoccolo anch’io davanti al fuoco. Dopo qualche minuto mi sento pronto per muovermi e mi rivesto.
Noto comunque che c’è una certa freddezza, ora, almeno tra le persone vicine a me. Provo a intavolare un minimo di discorso ma, forse complice la lingua, non riesco ad arrivarci in fondo. Decido di allontanarmi, un po’ preda della paranoia.
Lontano dal bagno mi pare che le cose vadano meglio. Comincio a patire l’assenza di uno spazio mio, una stanza, un angolo dove rintanarmi e tirare il fiato.
A quanto pare comunque non avrò molto tempo da perdere: l’arrivo di Sugerius è dato per imminente, pare che ci sarà una visita dei lavori, una messa, e poi si andrà tutti a mangiare in refettorio. Il monastero si è popolato, ci sono un po’ tutti i personaggi che ho visto in giro, compresi gli operai e i due capicantiere, che pare abbiano tirato fuori i vestiti buoni. C’è un’aria di anticipazione e di festa.
Ho occasione per fare una chiacchiera (o un tentativo di) oppure di fare una singola azione (visitare le cucine, visitare il cantiere, andare al fiume …) prima dell’inizio della serata. Oppure posso semplicemente fare small talk e vedere dove mi porta.
[Attuale comprensione della lingua: 15%]
L’ho fatto solo una volta, per scommessa, quando avevo vent’anni. Il prurito della ricrescita non mi ha fatto dormire per tre giorni. No, là sotto è tutto a norma.
Mi mescolo tra la gente e attacco bottone con uno degli operai che si è lavato con me, Raphael de Jean (qua son tutti “de” qualcosa).
Sugerius è un tizio importante, che ha a che fare con Saint Denis – che ai miei tempi è una delle tante chiese gotiche di Parigi, ma che adesso pare essere una delle più importanti. Non riesco a cavare molto di più a parte il fatto che Sugerius sia in visita, forse non capisco io, ma ho l’impressione che non lo sappia bene neanche lui.
Riguardo a prima, al bagno… si vede che più che altro è imbarazzato, e comunque a lui non interessa. “Tu est un bonus homme”. Spingo un po’, ho l’impressione che se spingessi un po’ di più caverei qualcosa, ma un improvviso mormorio mi avvisa che non c’è più tempo: Sugerius è arrivato.
[Su questo metto una regola, che vale dalla prossima volta che provate a parlare con qualcuno. Ad ora il valore della lingua è 15%. Ogni volta che si parla con qualcuno per una conversazione significativa si tira un d100. Sotto o uguale alla percentuale -> la conversazione procede tendenzialmente bene, guadagno +1 alla lingua. Sopra -> la conversazione va male (infruttuosa o controproducente) ma guadagno +5 alla lingua.]
Sul calar della sera una piccola folla di frati e manovali accoglie festosa l’arrivo di Sugerius, abate di Saint Denis.
È un uomo molto alto, che spicca tra i frati che lo accompagnano. Ha dei baffetti e, ovviamente, la testa rasata come tutti i monaci. Ma contrariamente ai monaci che ho visto finora, Sugerius è riccamente vestito, ha una mantella trapunta in velluto e oro e alle mani porta vari gioielli. È accompagnato da quattro monaci, anch’essi dall’aspetto così ben tenuto che rispetto a quelli di Saint Germain de Prés sembrano dei signori. Al seguito c’è anche una decina di altri uomini, discretamente robusti, discretamente in arme. Tutti con la testa china e l’atteggiamento molto pio, ma non mi sfugge che abbiano tutti una spada al fianco. Non dei coltellacci, eh, proprio spade.
Quando arriva questa delegazione la folla di Saint Germain è appunto in fermento. I frati locali ci fanno mettere su due file parallele e Sugerius passa in mezzo, in gloria. Io (seguendo indicazioni ricevute prima e mai più disdette) sono in pompa magna, per quanto possibile. Indosso il mio giaccone dei pompieri e ho l’elmo dorato sotto il braccio. Inutile dire che mi sento tutti gli occhi addosso, e infatti quando la delegazione passa si fermano un momento, Sugerius mi guarda e parlotta con uno dei suoi frati. Anche quelli di Saint Germain guardano verso di me, e un paio di monaci sembrano essere un po’ a disagio.
Che faccio? Lascio andare o provo a fare qualcosa ora che ho catturato l’attenzione?
Uno dei frati assistenti di Sugerius si avvicina e mi chiede qualcosa. Mi pare di capire – più dal modo di fare che da quello che sento – che voglia sapere chi sono. Io rispondo fingendo sicurezza “Marcel Chaucer” e aggiungo…
…una serie sbrodolata di suoni. Davanti allo sguardo arcigno del frate mi viene da irritarmi, e la frustrazione di non riuscire a dire le cose che voglio mi fa discretamente incazzare, tanto che il frate fa un passo indietro, allarmato.
Viene in mio soccorso Raphael de Jean (il tizio del bagno), che molto rispettosamente prende la parola e dice qualcosa di molto conciliante. Il frate mi guarda come se stesse guardando una merda andata a male e ritorna al suo posto. La delegazione procede.
[+5 alla lingua, valore attuale: 20%]
La visita prosegue senza altri intoppi: Sugerius e i suoi fanno il giro del cantiere, con l’abate che fa spesso domande ai frati locali e ai capicantiere. Soprattutto questi ultimi rispondono in maniera veramente servile, quasi tremando davanti all’abate, il quale di suo non fa niente per accorciare le distanze.
Dopo la visita al cantiere è prevista la messa – la chiesa è in espansione, ma la navata centrale è agibile. La delegazione di Sugerius è ancora protagonista: l’abate e i quattro frati-assistenti celebrano, i monaci locali fanno sostanzialmente da chierichetti.
La gente prende posto nelle varie panche secondo un ordine piuttosto codificato: i frati locali nelle panche del coro, alcuni sull’altare, altri subito sotto. Poi vengono i notabili, i capicantiere, gli operai e i cittadini. È arrivata anche un po’ di gente dalla città, alla spicciolata. Infine, nelle panche più arretrate, la gente mista, quelli peggio in arnese, e quelli che forse sono stranieri. C’è inoltre una stretta separazione di genere: maschi da una parte, femmine dall’altra.
Gli armigeri al seguito di Sugerius occupano delle panche in un angolo, un po’ in disparte. Attorno a loro si fa un po’ il vuoto, si vede che la gente non è contenta di seder loro vicino.
Io devo decidere se andare a messa o stare fuori. Se entro devo decidere dove sedermi e se, eventualmente, attaccare bottone con qualcuno.
Ok, vada per il piano “stare schisci”. Entro, mi piazzo tra i misti in fondo e cerco di seguire messa.
E però non è esattamente come me la aspetto. La gente parlotta di continuo, e quello che succede sull’altare si sente e non si sente: arriva un mormorio diffuso, in latino. I celebranti danno le spalle alla popolazione, e la gente si fa abbastanza i fatti propri. Qualcuno super attento c’è, qualcuno segue e anzi ripete muovendo le labbra tutto quello che succede sull’altare, ma sono pochi. La maggior parte della popolazione è lì, sembra, per fare socialità. La gente borbotta, si occhieggia, mi pare anche che ad un certo punto venga passato un pacchetto dai banchi degli uomini a quello delle donne, con tanto di imbarazzi e risolini quando è ricevuto.
La messa è un affare lungo, ci si alza, ci si siede, ci sono alcuni momenti di canto che in effetti attirano l’attenzione. Il momento centrale è il sermone, prende la parola Sugerius e tutti lo stanno a sentire. Parla concitato, a volte gesticola. Io capisco e non capisco, è qualcosa che ha a che fare con la ricchezza e la necessità di perfezione. Credo che ad un certo punto parli anche di stranieri, e infatti arrivano delle occhiate verso la nostra zona.
Poi la messa finisce, i frati si ritirano, e mi pare di capire che verrà servita la cena in refettorio.
Il refettorio è stato allestito per esaltare la presenza degli ospiti, che mangiano ad un tavolo rialzato, sopra un piccolo palchetto. Al tavolo, oltre a Sugerius e i suoi quattro, stanno i due capicantiere e i due frati-boss di saint Germain.
Ci sono anche più ospiti del solito, mi pare che un po’ di gente dalla città si sia imbucata. C’è aria di festa, viene servita carne di montone e verdure arrostite, e anche la birra è meno peggio del solito.
Ho l’impressione che mi arrivino addosso varie occhiate dal tavolo degli ospiti illustri, e comincio a sentirmi un po’ a disagio. Io di base siedo ad uno dei soliti tavoli, con gli operai ospiti del monastero. Fatto sta che nel corso della cena il mio tavolo inizia a svuotarsi. Ciascuno con una scusa, la gente si allontana. Della dozzina di persone di inizio cena ora restiamo in quattro, tra cui Raphael de Jean.
Che faccio?
E che cazzo, mo mi sentono. Si alza dal mio tavolo un tapino, pelato e col nasone, che brandisce uno stinco e si sposta verso una panca con l’aria di stare andando ad abbracciare un carissimo amico, anche se nessuno in verità lo caga. Gli branco il braccio, gli faccio brutto, questo sbianca e gli sbraito in faccia…
Il tizio mi guarda basito, mormora qualcosa, io gli ripeto piano, da incazzato, roba sulla linea di “cosa cazzo succede” e “dimmi tutto, nanetto di merda”. Mi scaldo, lui entra ancora più nel panico, fa per svicolare. Mi rendo conto che sto attirando l’attenzione di parecchia gente: se proseguo presto avrò gli occhi di tutta la sala addosso.
Che faccio?
[+5 a lingua: valore attuale 25%]
Il tapino non aspettava altro e svicola immediatamente. C’è un po’ di mormorio attorno a me ma a questo punto non ci faccio neanche più caso. Vedo la mia immagine riflessa sulla superficie dorata del mio elmo: sono un po’ stanco e un po’ scoglionato.
“Oh, Raphael”
“Oh, Marcel”
“Aiuto, help, pietà. Che cazzo succede?”
Raphael è chiaramente un po’ a disagio, mi pare di capire che anche lui abbia la tentazione di andarsene, ma dopo una breve lotta interiore decide di non abbandonarmi. Intercetta uno dei frati che servono ai tavoli e gli afferra la grossa brocca di birra che stava portando. Il frate accenna una protesta ma mi pare di capire che Raphael gli dice che è una brocca per tavolo.
“Ma vobis due soulement!” protesta il frate. Io colgo occasione e prendo la brocca, inizio a versare. Il frate si allontana borbottando.
“Marcel. Omo bonus. Je sais. Je compris” mi dice Raphael con un sorriso tirato.
“Mais…” e fa un gesto. Si indica la schiena con il pollice. “Tu sais.” E poi fa spallucce.
Lui mi indica, si dà due pacche sulla schiena, e poi dice: “Bandit.”
E no, non ho tatuaggi…
Raphael è costernato e pure un po’ disorientato. Si tocca gli occhi e ti indica, apre le mani, fa il gesto internazionale del “che te devo dì”?
Cmq, facciamo avanti e indietro per un po’: lui sembra convinto e pure imbarazzato, io mi scaldo un po’, lo strapazzo per farlo parlare (e per fargli ripetere le cose quando non capisco) fino a quando non mi sento bussare a una spalla.
È uno degli armigeri di Sugerius. Raphael sbianca e si zittisce. L’altro mi dà un ordine secco, che non capisco nello specifico ma il cui significato è chiaro: vuole che lo segua.
Che faccio?
La situazione è tesissima: l’armigero di Sugerius mi fa ancora segno di seguirlo, guardo Raphael e gli leggo in faccia un’espressione determinata: se mi divincolo lui coprirà la mia fuga, mi basta arrivare alla porta del refettorio e sono fuori. Credo.
Oppure posso seguire l’armigero e non fare casini. È Il momento di decidere: che faccio?
Una volta tanto sento che dentro di me c’è accordo; non è il momento di fare casini. Tengo d’occhio un possibile percorso di fuga, ma seguo l’armigero, che mi spintona e non nasconde che gli sto antipatico.
Vengo portato davanti al palchetto di Sugerius e degli altri notabili. Il mio spostamento ha, ovviamente, attirato l’attenzione in sala, e quei pochi distratti vengono richiamati da uno degli assistenti di Sugerius che, beffardo, inizia a battere il cucchiaio contro un calice di metallo. Cala il silenzio.
Lo stesso frate che ha attirato l’attenzione, che chiameremo l’Arcigno, dà un ordine accompagnato da un gesto di sufficienza della mano. A quel punto si fa avanti, di fianco a me, il frate addetto ai bagni. L’Arcigno gli parla e il frate dei bagni risponde, un po’ intimorito, qualcosa. Mi indica, fa anche lui il gesto di indicarsi la schiena. L’Arcigno congeda con un gesto della mano e si rivolge a me. Anche con la mia scarsa comprensione della lingua capisco che mi sta dicendo se confermo o nego.
Durante tutta questa scena Sugerius ha continuato a mangiare con studiata lentezza, gettando appena lo sguardo nella mia direzione.
Io cerco a parole di scusarmi, di dire che non sono un bandito. L’Arcigno non sembra convinto e dà un ordine all’armigero, che inizia a mettermi le mani addosso. Mi irrigidisco, ma capisco abbastanza presto che il tizio sta cercando di togliermi la casacca e la maglia.
Continuo sulla linea docile o faccio resistenza?
Scaccio l’armigero con uno spintone, l’uomo cade sul culo con gran fracasso. Si alza subito un mormorio di voci e altri armigeri fanno per venirmi addosso ma io li fermo con un gesto e inizio a spogliarmi. La situazione si calma.
Mi tolgo la casacca, la maglia, resto a petto nudo. Già che ci sono gonfio un po’ i muscoli e sto a petto in fuori, con tutta la dignità che riesco. La sala è percorsa da un mormorio. L’Arcigno a gesti mi fa segno di ruotare. Anche Sugerius mi guarda, vagamente interessato.
Ruoto su me stesso, mi sento un po’ un animale in mostra. Mentre lo faccio incrocio lo sguardo dell’armigero che ho spinto a terra. Lo chiameremo Ceffo. Ceffo mi odia. Non vede l’ora di mettermi le mani addosso.
Comunque, dopo aver dato mostra di me, torno a guardare il palchetto con aria di sfida. L’Arcigno mi fa segno di rivestirmi e poi si mette a parlottare con Sugerius. Dopo una breve consultazione si rivolge a uno dei frati al loro tavolo. Questi sembra molto contrariato, e ribatte. Parlano in fretta, e con dei pezzi in latino, quindi riesco a seguire poco. Il senso è che l’Arcigno sta cazziando il frate-boss di Saint Germain, il quale prova a difendersi ma non pare troppo convinto.
Quando il frate-boss china il capo l’attenzione torna su di me. Mi arriva un ordine che non capisco, e Ceffo è più che contento di farmelo eseguire “a mano”: mi spintona fino a farmi mettere in ginocchio. A quel punto l’Arcigno assume un tono ufficiale, inizia a recitare delle formule di rito e cita una serie di santi, e il nome di Sugerius più volte. Sta emettendo nei miei confronti un provvedimento ufficiale, questo è chiaro. Nel dettaglio mi sta dicendo che…
[+5 a lingua, valore attuale 30%]
…mi succederà qualcosa di terribile, ma i dettagli mi sfuggono.
Vale ancora il piano “sto bravino”? Ho da fare delle considerazioni? Devo porre la mia attenzione su qualcosa nello specifico?
La situazione è e resta tesa. La “sentenza” è stata accolta da un mormorio, ma non ci sono stati grida, risate o atti violenti. Nella sala un po’ tutti parlottano.
Armi improvvisate: di sedie, brocche, coltelli ce n’è a bizzeffe. Anche aste e bastoni ce ne sono: supporti per le lanterne, qualche gruccia, vicino al camino c’è un’accetta per spezzare la legna più grossa.
Gli armigeri hanno le spade. Per mangiare si sono tutti sfilati il fodero e le hanno ammucchiate su una panca vicino a dove siedono – non si aspettavano di dar battaglia a cena, ovvio, ma sono anche parecchio in bella vista, una chiara dichiarazione alla platea (e se devo scappare preferisco stare lontano dagli armigeri)
Vie di fuga ce ne sono: posso attraversare la sala per il lungo in mezzo ai tavoli delle persone e uscire dalla porta principale, posso percorrere il lato corto e buttarmi nelle cucine (a sinistra) o verso uno dei corridoi che dà verso il resto del monastero (a destra).
A proposito di armigeri: Ceffo è andato al loro tavolo e adesso sta tornando verso di me con due compari di rinforzo. Che faccio?
[vista la criticità della mossa, vorrei che almeno un’altra voce si esprimesse. Se confermate l’azione “lo attacco” andiamo per quella strada. Se vi opponete facciamo il tiro di sbrocco. Scusa @Dottornomade se non eseguo subito la tua azione, ma ci saranno conseguenze grosse in un caso o nell’altro, quindi chiedo a @the Dans o a @GM di esprimere la loro, appena ho un secondo parere l’azione è attivata]
[Tranqui, la prossima volta che c’è un’azione critica lo segnalo quando dico “che faccio?”]
[chiarissimo, ho scritto “lo attacco” per brevità]
[Beh, se fossero passate ore magari facevo progredire un po’ la scena, quindi non era del tutto ingiustificato il tuo panico]
L’elmo, per mangiare, l’avevo tolto. Per fortuna che il mio istinto mi porta a non separarmi mai dalle mie cose e, quando Ceffo è venuto a chiamarmi, me lo son portato dietro. Vedere i tre armigeri che si dirigono verso di me è la goccia che mi fa sbroccare: non mi avranno!
Mi caccio l’elmo in testa e con una mossa di raro atletismo rotolo su un tavolo (sbracando piatti e brocche) e mi porto in prossimità del camino. Afferro al volo l’accetta e, in un moto di improvvisazione, pure un ceppo infuocato (tanto son vestito di abiti ignifughi). Nella sala si sparge il panico, la gente in prossimità del camino si allontana, vedo che alla tavolata degli armigeri tutti si alzano. Il mio problema immediato sono i tre che, già a metà strada, ora mi corrono contro.
Intanto provo a gridare “Non sono un bandito!” “Sono un ambasciatore!” “State lontani!” Purtroppo il mio sforzo dialettico, a questo punto, risulta fallimentare. Vedendo che non ci si arriva con le buone caracollo verso le cucine: incrocio due frati che stanno portando un pentolone di coccio, ne strattono uno e la zuppa va a terra. Riesco a guadagnare l’ingresso delle cucine mentre sento che almeno un armigero si schianta, dietro di me. Sento anche la voce dell’Arcigno che, imperiosa, sbraita ordini alle mie spalle. E poi sono fuori dalla sala.
[Probabilmente]
Le cucine sono strutturate attorno a due grandi focolai circondati da treppiedi e muriccioli su cui si appoggiano pentole, tegami e cose che devono andare sul fuoco. È un ambiente molto scuro e fumoso, alle pareti sono appese trecce d’aglio, pesci essiccati, un paio di insaccati.
Ci son tre frati in cucina, più un paio di regazzì che fanno da aiuto. Ci sono anche un paio di cani. Vie d’uscita son due: una che pare dare su un corridoio e una su cui si staglia sulla porta un grasso frate che regge con due mani un taglio di lardo. Il frate veniva da lì e vedendomi, come tutti, si è bloccato, terrorizzato.
Dietro di me gli armigeri incalzano, ho un vantaggio di qualche secondo su di loro.
Che faccio?
Scaglio alla cieca il legno alle mie spalle e sfondo verso il corridoio, acchiappando un salame al volo. L’ambasciatore ha fame, pare.
Dietro di me i cani di cucina hanno iniziato ad abbaiare ma non ci faccio caso e corro fuori. Ho l’immagine sfuggente di un frate, terrorizzato, che si fa il segno della croce. Il corridoio si rivela essere molto corto e si apre da un lato su un cortile, a sua volta chiuso su tre lati da: refettorio, zona abitativa del monastero, chiesa. Cose che vedo:
– legnaia, con ceppi, legni di varie dimensioni, altre accette
– piccola roggia (usata per la spazzatura, andrà forse a congiungersi alla Senna)
– cavallo impastoiato
Il quarto lato del cortile è chiuso da una staccionata, col suo bel cancello di legno. Ho una frazione di secondo per decidere cosa fare. Mi è chiara una cosa: posso riuscire a scavalcare la staccionata, specialmente se ho la rincorsa da qui a là, o magari spicchettare il cancello. Ma sono tutte cose lente e gli inseguitori mi sarebbero sicuramente addosso.
Che faccio?
Sono un vigile del fuoco, mica un dentista: non posso permettermi di fare equitazione nel tempo libero.
Da ragazzo sono andato a cavallo qualche volta: credo di riuscire a tenere il passo senza problemi. Saltare al volo in sella e partire al galoppo… è più rischioso. Saltare la staccionata al volo invece mi sembra difficilissimo
Sì, sicuramente riuscirei ad aprirmi la strada rapidamente. Ma, appunto, gli inseguitori mi sarebbero addosso.
[se volete immaginarla alla d&d: ho un round di vantaggio]
Combattere… come vigile del fuoco io la gente la devo salvare, mica ammazzare. Sono sicuro che ragionevolmente non entrerei nel panico, ma so di non essere forte a menare
La roggia è un canale scavato nella nuda terra in cui scorre un’acqua piena di alghe. Tra il livello del terreno e la superficie dell’acqua c’è circa mezzo metro. Non posso sapere con certezza quanto sia profonda, ma non può essere tanto. Mezzo metro. Un metro al massimo. Complessivamente sarà larga due/tre metri. È abbastanza irregolare. C’è una zona piena di rifiuti e sporcizia. La roggia poi prosegue e passa sotto la staccionata.
In effetti la staccionata, che già non è fittissima, in corrispondenza della roggia si allarga.
L’accetta dalla legnaia la prendo facile se vado in quella direzione.
[spero si capisca tutto. C=Cavallo, M=Marcel, ~=roggia]
[no, ho usato un editor di testo che uso per il codice. Oh ma che vuoi! 😆 ]
Ho la divisa e l’elmo (mi sono rivestito strada facendo)
Sono combattuto: vorrei scappare verso la legnaia e magari armarmi meglio, ma vorrei anche prendere il cavallo, che mi dà una speranza di fuga (magari infilandomi tra legnaia e chiesa, per poi arrivare al cantiere). Quale di questi miei desideri vincerà?
[Troppo tardi, mon ami. Roll.]
[in compenso i punti sbrocco si resettano: punti sbrocco al prossimo tiro: 1]
Diviso tra le varie opzioni mi faccio prendere dal panico. Faccio qualche passo verso il cavallo ma questo scarta spaventato. Allora faccio qualche passo verso la legnaia ma gli armigeri escono e mi pare siano in vantaggio e che non riuscirei a raggiungere l’obiettivo (spoiler alert: ce la facevo). Mi sale lo sclero, posto del cazzo, passato del cazzo, gente del cazzo che minchia vogliono dovete lasciarmi stare dovete solo LASCIARMI STARE!
E quando uno degli armigeri si avvicina nella penombra del cortile illuminato solo da qualche torcia vedo un riflesso della luna baluginare sulla sua spada sguainata e sbrocco DEFINITIVAMENTE. Abbasso la testa e lo carico, come una bestia, come un bruto. Sento l’impatto della lama sull’elmo, e la punta della spada mi sfiora una spalla di striscio. Ma gli sono addosso, e adesso sono solo cazzi suoi.
Prima che me ne renda conto ho atterrato l’uomo e gli sono rovinato sopra. Nel combattimento cortissimo l’accetta mi dà vantaggio, la uso come un martello e riesco a picchiarlo sulla faccia una, due volte con il manico. Sono stordito dalla mia stessa violenza.
Gli altri nemici si avvicinano, ma so questo: posso affrontarli. Posso ucciderli, anche. Nell’attimo fatale della lotta la certezza mi è cristallina: sarei vittorioso.
Che faccio?
Ahimé, sono nuovamente diviso. Una parte di me vuole l’ultraviolenza, una parte di me vuole minimizzare i danni e cercare di farmi scappare. E la parte che prevale è…?
[+1 punto sbrocco, valore prossimo tiro: 2]
È la parte più civilizzata. Non voglio fare del male a questi poveri stronzi. Neanche a Ceffo, via. Devo solo scappare, e soprattutto devo scappare adesso, che sono solo due, e i rinforzi non sono ancora arrivati.
Salto in piedi, mi faccio grosso, grido e, appena gli armigeri tentennano, sfondo. Mi infilo tra la legnaia e la chiesa, inseguito, certo, ma non così tanto da vicino. Hanno visto che sono pericoloso e a questo punto non hanno voglia di combattere
Corro a perdifiato e mi ritrovo nella zona del cantiere, che conosco molto bene. Taglio per la zona dello scavo delle fondamenta, nel buio della notte. Dovrebbero perdermi, nella città buia mi dovrebbe essere facile.
In effetti scappo, e scappo veloce, esco dal perimetro della chiesa, mi infilo tra le vie. Mi stanno dietro, ma a questo punto sono io a gestire il gioco.
Eppure… ogni volta che mi pare di essere rintanato, di essere nell’ombra, facilmente mi sgamano. Nascondermi non è il mio forte, mi sa… Posso continuare così, gli avvistamenti si stanno facendo comunque sempre più radi, a costo di diventare esausto, a costo di sputare i polmoni potrei riuscire a seminarli. Oppure posso farmi venire altre idee.
Ok, continuo a correre. Rovescio anche una lanterna che trovo ad un certo punto e causo un piccolo incendio. Mi sembra strano che riescano a vedermi così facilmente, nella città ormai buia, ma magari è perché sono abituati. Io corro. Corro finché ho fiato, perdendomi del tutto tra vie piccole e sporche. Scivolo più volte, e attraverso un paio di rogge cercando di non pensare alla roba che ci vedo galleggiare.
Finalmente riesco a rintanarmi. Succede per caso, mi si presenta l’occasione: sfondo in una baracca, doveva essere una piccola stalla, ma sono in una zona della città chiaramente in stato di degrado. Alcune case sono abbandonate, e questa è mezza sfondata. Io entro e mi nascondo tra i residui di paglia e il ciarpame. Passa un minuto. Ne passano dieci. Passa mezz’ora.
Li ho persi.
[Stato di salute: stanco, infangato
Stato mentale: spaventato, incazzato]
[Update inventario: accetta. Stato di salute: lieve ferita alla spalla]
Mi tolgo il giaccone catarifrangente, tolgo l’elmo lucidissimo e mi controllo.
[DIECI PUNTI A GRIFFONDORO]
Anche nel buio della stalla ogni flebile spiraglio di luce viene rimbalzato dalle strisce gialle del mio giaccone (e dall’oro del mio elmo)
Figa, lascio la scia.
Tecnologia francese, la migliore al mondo
Comunque, sono vivo. Quel che doveva succedere è successo, e adesso sono qui. Sono sfibrato, e per questa notte non riuscirò sicuramente a fare altro: poi domani si vedrà. Anche la storia della schiena ne arriverà ad una.
Organizzo alla meno peggio un giaciglio per la notte. Almeno ho cenato, e ho ancora il salame rubato dalla cucina. Avrei sete ma per il momento decido di tenermela. Cerco di mettermi quieto e, per quanto possibile, calmarmi, rilassarmi, e addormentarmi.
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