Mi sveglio, infreddolito, con tutte le ossa rotte. Qualcuno mi sta scrollando. Apro gli occhi. È un uomo, completamente in bianco e nero. Come se fosse un fumetto.
Buone domande e buone ipotesi. Il peggioramento dei sensi è quello su cui ho più certezze, per il momento. Pare che durante il mio viaggio siano peggiorati: prima a casa di Marie e Luc, e ora qui. La notte è stata terribile, sono scappato vedendo a malapena dove andavo, per ore, fino a quando non sono crollato distrutto. Se ora sono sveglio devo ringraziare il corpo dei pompieri, senza i vestiti isolanti sarei morto di freddo. Ma non sto bene, non sto bene.
Andiamo con ordine:
– mi fischiano le orecchie. Forte. Come se ci fosse un bambino con un fischietto alle mie spalle che continua imperterrito. Il bastardo.
– ho tutti i sensi attutiti. A parte il fischio, i suoni mi arrivano ovattati. La pelle ha perso sensibilità. E ci vedo… in bianco e nero. Ma non come se fossi daltonico, peggio: vedo i bordi delle cose e dentro bianco. Come se fosse tutto disegnato.
Mi sono svegliato perché c’è un tizio che mi scrolla. Mi ero addormentato in una piccola macchia di vegetazione e sto tizio mi ha dato uno scrollone. Mi sono un po’ smosso e lui ha fatto un balzo indietro, come spaventato.
Provo a parlare, ma tra senso di intontimento e fischio faccio veramente una fatica boia. Bofonchio qualcosa ma mi rendo io stesso conto che mi sono usciti dei suoni poco intelleggibili.
Il tizio mi dice qualcosa, ma le parole arrivano coperte e distorte. Non si avvicina e capisco dalla sua mimica corporea che è molto teso.
Con una discreta fatica mi alzo in piedi: barcollo un momento, poi ritrovo l’equilibrio. È tutto stranissimo.
Il fischio…
Il fischio cambia. Un po’. Se ruoto la testa.
Il fischio sembra avere in effetti una discrezionalità: da un lato è più forte dall’altro più attutito.
Faccio un paio di passi e mi accorgo che ho uno stivale slacciato. Cioè, proprio le stringhe sono allentate, quasi fino in fondo. Alzo gli occhi e incrocio lo sguardo del tizio, che mi guarda con un misto di terrore e imbarazzo. Sempre rigido, estrae un sacchetto e tira fuori la mia mezza salama! La posa a terra e fa per allontanarsi, molto cauto
Se voglio interagire con il timido ladro devo agire subito, prima che sia troppo lontano. Altrimenti posso provare a seguire il fischio, ma in quel caso devo decidere la direzione: verso il forte o verso il piano
Da un rapido check sembra che abbia tutto. L’accetta è ancora lì in terra
Gesticolo verso il tizio, cerco di ignorare il fischio e provo a chiedergli aiuto, o almeno in che direzione sta Parigi.
[successo! +1% linguaggio, valore attuale 43]
I miei grugniti producono qualcosa di vagamente comprensibile: passa l’idea che ho bisogno d’aiuto. Faccio su tutte le mie cose, il fagotto con giaccone e elmo sotto il braccio, l’accetta in mano. Tiro su anche il mezzo salame e lo mostro al tipo: “Aidez-moi!”
Il tizio sembra un po’ meno spaventato, e si avvicina, ma non viene a sostenermi fisicamente. Sarà l’altezza, immagino: è piccolino, e da quel che mi pare di capire pure piuttosto magro. Non riesco a vedere bene i dettagli ma capisco che non è certo vestito come un re. Non saprei dire se ha vestiti simili a quelli che aveva, ad esempio, Luc. Però, ora noto, è scalzo.
Alla mia domanda insistente “Parisi, Parisi?” lui mi indica una direzione. Ora ho occasione di guardarmi contro e capisco di essere in una zona un po’ boschiva, non molto distante da una strada. Ieri mi devo essere infilato qui, per disperazione. Comunque il timido ladro mi indica che devo prendere la strada, andare verso la mia sinistra. Rispetto al fischio… boh, è difficile, non è esattamente l’ago di una bussola. Però no, le direzioni non combaciano.
Ok, mi incammino sulla strada. Per evitare troppi sospetti mi rimetto in modalità “viandante”, nascondo per quanto possibile la roba anacronistica, mi procuro un ramo che uso da bastone.
La marcia procede lenta, tra il freddo e la giornata autunnale che stenta a prendere vigore.
Incontro poche persone, la campagna è spoglia, ma almeno è facile non perdersi: seguo una strada che diventa sempre più battuta.
Dopo una/due ore di cammino mi fermo per mangiare il poco salame che mi resta. Mi siedo a bordo strada e faccio su un po’ d’acqua da un ruscello che mi pare pulito abbastanza. Madonna che fatica. Mangio.
Mangio e il salame sa di salame. Poco, ormai un po’ stantio, ma sa di salame. Mi guardo intorno e faccio un po’ di prove, e oh, non ci sono dubbi: i sensi stanno tornando.
Mi sento di nuovo me stesso, almeno un po’. Accolgo con piacere anche il freddo e il male alle ossa. Sono qui.
Il fischio è molto meno intenso, ora. Se chiudo gli occhi e ascolto è lì, ben presente, ma posso ignorarlo senza problemi.
Finisco la salama e mi guardo attorno con occhi nuovi: la campagna mi sembra ora un tripudio di colori – anche se mi rendo conto che è ancora tutto un po’ più opaco, un po’ più desaturato del giusto.
A passo baldanzoso mi rimetto in strada, e dopo poco trovo un bivio, che nella notte ho sicuramente mancato: la strada principale va dritta davanti a me, una strada più piccolina porta ad un paesello che vedo a un paio di chilometri di distanza, abbarbicato su una collina
Che faccio? Paesino o (forse) Parigi?
Spendo un po’ di tempo e faccio le mie prove. Mi costa qualche ora e un po’ di energie. Cerco di ignorare la pancia che brontola e mi sposto per la strada principale.
A valle della giornata passata per strada ho maturato una certezza: più mi avvicino a Parigi più i sintomi (fischio, visione, intontimento dei sensi) si attutiscono.
Contestualmente mi sono anche un po’ orientato, e sul finale di pomeriggio ho tre possibili mete: Parigi (a cui arriverò sicuramente dopo il tramonto), il paesino che ho visto sulle colline, o la cascina di Luc. A queste due mete arriverei, grossomodo, sul far della sera.
Altrimenti posso sempre mettermi all’addiaccio nei campi, ma non ne ho tanta voglia.
Il timido ladro che mi ha svegliato l’ho perso di vista, ad un certo punto ci siam separati.
Situazione inventario: vestiti, accetta, bastone, niente cibo.
Situazione fisica: stanco, affamato.
Situazione mentale: ???
Che faccio?
Intendi nella stalla del monastero? Non ci sono mai entrato, ma dovrei trovarla. Sicuramente mi dovrei muovere nella città di notte e arriverei sicuramente dopo che i monaci dormono.
Se invece intendi la stalla dove ho dormito ieri: sì, dovrei riuscire a trovarla. Però appunto si tratta di entrare in città di notte.
[@GM tieni il conflitto e insisti per Parigi?]
[Che eravamo ancora interlocutori]
E paesino sia! A Parigi penserò domani
Mi avvio per questa campagna che ormai sto iniziando un po’ a conoscere, tra i campi spogli per la stagione divisi da siepi e fossati. Arrivo ai piedi della collinetta quando il cielo sta giusto iniziando a trascolorare verso il tramonto. Non sono l’unico a dirigersi verso il paesino: vedo un gruppo di tre giovani, ciascuno con la sua gerla in spalla, ogni gerla strapiena di rami e legna piccola. Vestono da contadini, principalmente di lana e tela, in maniera non dissimile da come ho vestivano Luc e la sua famiglia, e ai piedi hanno degli zoccoli di legno. Scherzano tra di loro e hanno un’aria allegra.
Per il momento non sembrano avermi notato. Posso approcciarli o aspettare che passino, ma se questa è l’ora del rientro sarà difficile non essere visto. Il paese, ora che lo guardo meglio, è un gruppetto di case di pietra e legno. Spicca la sagoma di una torre, dal tetto molto irregolare (ma devo avvicinarmi per vedere meglio).
Che faccio?
Mi paleso e saluto con la mano. I tre si bloccano, un po’ allarmati dalla mia comparsa, ma faccio il possibile per far capire che non ho intenti bellicosi. Mi avvicino, e quando sono a portata di voce butto fuori la storia ormai oliata: sono un pellegrino, straniero. Aiuto. Lavoro. [Roll]
[Sbagliato di uno! (Ignorate il primo tiro, mi è partito per sbaglio con la formula errata)]
[+5% linguaggio, valore attuale 48%]
Ci parliamo un po’. Le cose base-base passano, è sul fatto “aiutatemi” che non riesco a veicolare il messaggio. Anche loro sono un po’ frustrati, ma soprattutto si vede che a questo punto vogliono sbolognarmi (mi viene anche il dubbio che stiano facendo finta di non capire)
Intanto siamo arrivati alle porte del paesino, che ovviamente non ha mura. È un gruppo di case, quasi tutte di legno, e un po’ di viavai. Vedo un po’ di sguardi che mi bersagliano, e i miei tre accompagnatori cercano di svicolare e tornare nelle loro rispettive abitazioni.
Abbiamo intanto guadagnato il centro del paese, che si sviluppa attorno a una piccola piazza. Il paese è appunto in collina, e nel punto più alto c’è quella che doveva essere una piccola fortezza. È sostanzialmente una casona in pietra, ma ora è in rovina. Capisco anche perché la torre, da lontano, mi sembrava strana: è bruciato il tetto.
Posso insistere con i tre tizi, approcciare altre persone, esplorare il paese per conto mio. Avrò ancora un’ora prima che venga davvero buio. Che faccio?
Non ho problemi a farmi scaricare dai tre, saluto e sono di nuovo da solo. Colgo occasione per fare un piccolo giro del paese, conto una trentina di case, più appunto la fortezza abbandonata. Pare che l’ingresso principale al paese sia dall’altro lato rispetto a dove sono passato io. Parte infatti da qui una strada che scende dall’altro lato della collina. Proprio all’ingresso del paese c’è un cippo marmoreo con delle scritte.
Dunque: posti palesemente abbandonati non ne ho visti, le opzioni sono: un fienile attaccato ad una delle case periferiche; un capanno MOLTO sgarrupato vicino ad una fonte, fuori dal villaggio
Sul cippo, con un po’ di fatica, leggo SA_CT__ _TEPHA_N_S
(Due parole, il trattino segna lettere illeggibili)
Intanto: cala il sole. Ho ancora un’oncia di luce, prima di dover iniziare a brancolare.
Santo Stefano, Saint Stephan… beh è un santo molto comune, quindi sì, a Parigi ci stanno un sacco di cose, c’è una via santo stefano, una piazza, alcune chiese
Però secondo me c’è dell’altro, devo averlo sentito più di recente. Se riuscissi a ricordare…
Cacchio.
[segna 100 px]
Il cippo è una lastra di roccia bianco-grigia alta circa un metro. Il nome del villaggio si legge (con qualche difficoltà). C’era un’altra scritta, sotto, ma è andata perduta. Attenzione: non a causa della consunzione del tempo. Ora che ci guardo bene, si capisce che il cippo ha preso delle botte. Qualcuno l’ha deliberatamente rovinato, con uno scalpello o qualcosa di simile. E infatti lì attorno trovo qualche scheggia di pietra bianca, che probabilmente viene dal cippo stesso.
Intanto la luce se ne è andata quasi del tutto: non è proprio buio pesto, ma ora farò fatica a muovermi. Delle tre sistemazioni per la notte, due mi sembrano più agibili: il capanno un po’ fuori paese, vicino alla fonte; e la fortezza crollata. Il fienile resta sempre un’opzione, ma a questo punto rischio veramente tanto di fare rumore (e far abbaiare i cani).
Copro tra qualche inciampo le poche centinaia di metri che mi separano dal capanno. Ora che ci arrivo mi accorgo che è davvero scrauso: poco più di una tettoia, una delle pareti è di assi, le altre tre sono pali, rami e foglie. Non c’è porta, ma un cencio logorissimo chiude l’apertura.
Lì accanto c’è però una fonte. L’acqua scorre da una parete e si incanala in un legno, prima di finire in un vascone di pietra. È facile berci e immagino che la gente ci porti gli animali ad abbeverarsi. L’acqua è fresca, e almeno la sete mi passa. Bevo anche quando non ho più sete, per mettere qualcosa in pancia. Oggi ho mangiato solo la mezza salama, e la fame si fa sentire. Domani dovrò, per forza di cose, trovare del cibo.
Do un’occhiata nel capanno: dentro non c’è pavimento, ma la terra è battuta e ci sono stracci logori r qualche oggetto. A tentoni trovo una ciotola di legno, più altra roba che non capisco bene.
Posso indagare ulteriormente tirando fuori le robe alla luce delle stelle, o fregarmene e mettermi giù a dormire. O posso anche decidere che il posto non fa per me.
Raccolgo gli oggetti e faccio un po’ d’ordine nel capanno. Trovo:
– due ciotole di legno (una grande e una piccola)
– un cucchiaio di legno
– un rozzo crocifisso, grande quanto una mano. La croce è fatta di legnetti, il cristo è un pupazzo abbozzato in terracotta
– un piccolo involto contenente sei denti, credo umani
– un mazzo cilindrico di crine o capelli, legati assieme
– una decina di noci
– un piccolo coltello con la lama spezzata a metà
– pelli consunte, con ancora il pelo (lungo) attaccato da un lato
– un cubotto di legno e fango essiccato. Se la muovo fa rumore, come un sonaglio
– stracci e cenci
Status update: vicino allo sbrocco.
Cosa faccio? Nascondo la roba? Dormo comunque nella capanna? Me ne vado?
Nascondo tutte le cose a qualche decina di metri di distanza, sotto un tronco. L’unica cosa che mi tengo sono le pelli e gli stracci, che uso per non sdraiarmi proprio direttamente sulla terra. Poi cerco di mettermi comodo – per quanto possibile – e mi metto in attesa.
È tutto molto silenzioso, a parte lo scorrere lieve dell’acqua, e ogni tanto un refolo di vento. Ad un certo punto cambia piano piano la luce e, incuriosito, guardo fuori: è sorta la luna, e finalmente posso guardarmi un po’ attorno. Nel vicino villaggio vedo qualche luce, ma pochissime, e la campagna è davvero buia. Con lo sguardo posso spaziare tutto attorno, su uno scenario di pianura e basse colline. Sento il richiamo di un gufo, e mi prende il breve pensiero che forse ci sono degli animali pericolosi, in giro di notte. Mentre mi arrovello cercando di ricordare se in quest’epoca i lupi erano stati già scacciati dalla francia giunge alle mie orecchie un canto berciato.
C’è una lucetta, ondeggiante, che si sta avvicinando dal paese. Chiunque porti la lanterna procede piano, ondeggiando, e mentre barcolla canta, stonatissimo.
Sto dentro la capanna? Mi nascondo? Esco? Lo attacco?
Esco dalla capanna e mi allontano di qualche passo. La figura avanza barcollando e berciando. Dalla voce capisco che è un uomo, ma sembra indossare… una gonna? Tiene la lanterna bassa per illuminare la strada e non inciampare, e io vedo giusto i suoi piedi.
Si avvicina, e comincio a distinguere le parole. Cioè, le distinguerei, se ci capissi qualcosa. Sembra latino, ma è chiaramente un latino molto imbastardito, a un certo punto si ferma per ricordarsi come proseguire, poi si vede che si arrende, fa spallucce e prosegue.
Mah… la messa in latino non la so, quindi sì potrebbe, ma anche no. Sbiascica anche tantissimo. Per il vestito, potrebbe. Nel buio mi pare di capire che abbia un tunicone.
Arrivato vicino alla capanna posa la lanterna a terra e si appoggia pesantemente alla struttura, che cigola e traballa tutta. Manda un rutto. Poi barcolla verso l’abbeveratorio.
Si è lasciato la lanterna alle spalle, quindi ora vedo giusto la sagoma. Arrivato nei pressi della vasca traffica un po’ con il gonnellone e dopo poco sento il rumore inconfondibile: ci sta pisciando dentro.
Che faccio?
Il tizio finisce, si scrolla e torna barcollando alla capanna. Dopo qualche minuto sento un forte russare. Che faccio?
(Cerco di non pensare al fatto che ci ho bevuto. Cioè, io ho bevuto dalla fonte, lui ha pisciato nel vascone, ma comunque)
Arrivo alla capanna. Peraltro la lanterna è rimasta in terra, accesa. Scosto leggermente i cenci che fanno da tenda e lo osservo.
È un uomo di una quarantina d’anni, con una barba lunga e nera e i capelli molto corti. Indossa un tunicone nero, col cappuccio, e al collo porta un gran crocifisso di legno, legato con lo spago. Alla vita vedo che ha un pezzetto di corda, a modo di cintura, e ai piedi porta dei sandalacci mezzi sfondati.
C’è lì accanto, a terra, una bisaccia consunta, di tela, che forse aveva addosso.
La prendo?
Prendo bisaccia e lanterna e torno dal tronco dove ho nascosto il resto della roba del tizio.
Nella bisaccia trovo una forma di pane quasi intero e una mezza forma di formaggio, più qualche mela e una rozza scatoletta di legno con dentro ulteriori pezzettini di pane, grandi quanto un’unghia, un po’ secchi.
È davvero un bel piano. Un piano ingegnosissimo, sempre che io abbia capito bene. Un orologio svizzero, guarda.
[ahah, no, era per citare il grande Lebowsky]
Va tutto liscio, imberto la roba e il tizio se la dorme della grossa. L’eccitazione di avere da mangiare mi fa anche passare il sonno. Mi allontano. Tengo la lanterna bassa come gli ho visto fare – anche perché se la tengo alta mi acceco e non vedo dove metto i piedi. Con una certa cautela mi avvio verso il paese.
Scivolo tra le case. Sento rumori di vita, qualcuno che parla, il raglio di un asino. La gente si sta mettendo a dormire, ma gli scuri sono chiusi. Temo che avrò freddo stanotte.
Arrivo verso la piccola fortezza. Nel buio vedo giusto che c’è un palazzotto, forse bruciato e crollato, e appunto questa torre quadrata. Il lato della torre sarà… quattro metri? Poi va su per, boh, una decina di metri? Poteva essere equivalente a un palazzo di tre piani. Ma appunto la parte sopra è crollata.
La torre sembra comunque la parte meno distrutta, almeno il piano terra è intero, forse anche il secondo. Nel palazzo invece c’è un enorme cumulo di macerie: sia il tetto che il primo piano devono essere crollati.
Mi infilo, per quanto possibile, stando attento a 1) non farmi male e 2) non farmi troppo sgamare.
Non è un’esplorazione facile, contando che il mio stomaco dopo aver visto il cibo non fa altro che dirmi “oh, che cazzo fai, mangia qualcosa, boia deh”
No?
Per qualche motivo ho deciso di rubare il cibo, ma non mangiarlo.
Comunque una volta tanto la fortuna sembra assistermi. La torre non ha porte visibili dalla strada, e dopo poco capisco perché: ci si poteva accedere solo da dentro la casa. Se striscio sotto una trave mi lercio tremendamente ma dovrei riuscire ad arrivare al pianterreno della torre. Vado?
È un’operazione faticosa, e striscio con la schiena sul pavimento, tirandomi a forza di braccia. Non sono super silenzioso ma a un certo punto oh, che si fottano. Piano piano avanzo e finalmente arrivo alla torre – o a quel che ne resta.
Sono dentro la torre. Mi ritrovo in un ambiente piccolo, con una stretta scala che porta ad un piano rialzato. Ci stanno un po’ di macerie anche qui, ma poca roba. Inoltre è chiusa su tutti i lati (l’unica porta è così ingombra che ho, appunto, dovuto strisciare a terra per infilarmi).
Mi prendo un momento per tirare il fiato, mi siedo su uno scalino e mangio.
Uuuuuuffff
Madonna, son stati giorni davvero pesanti. Il formaggio, ora che ho fame, mi sembra buonissimo.
Per fortuna che avevo bevuto tantissima acqua, prima, per riempire un po’ lo stomaco.
Mentre mangio sento la stanchezza che viene a reclamare il suo dazio. Non ho fatto che dormire male, svegliarmi con gli incubi, e scappare. Sono un po’ stanchino.
Butto un occhio al piano di sopra. C’è un piccolo vano, una scala che salirebbe ancora ma che è ingombra di macerie. Ci sono due sottili feritoie da cui si vede una fettina di cielo.
C’è anche roba: una cassapanca, un piccolo tavolo inchiodato al muro, una sedia. Francamente ora vorrei solo dormire.
Mi preparo per la notte?
Decido di stare al piano di sopra: è più lontano dal terreno, vien su meno freddo. C’è comunque un po’ di spiffero ma, oh, è protetto. E il pavimento è di legno.
Mi accoccolo come posso e mi stendo. Ai problemi di domani penserò domani.
E buonanotte
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