Lettere da Malu Malu #15: chissà quali mostruosità

GIORNO 21

Luminosissimo maestro,

siamo saliti. Dopo la battaglia dell’altra notte abbiamo giustamente impiegato la giornata di ieri per riposare, medicare ferite e ammaccature, e pianificare il da farsi. È stata costituita una nuova squadra di esploratori, di cui il vostro umile studente è stato messo al comando. In questa faccenda Maestro Filippo è stato ancora una volta imperscrutabile: egli ha insistito affinché io non solo partecipassi, ma appunto guidassi la spedizione, incontrando qualche resistenza soprattutto da parte di Moliabre, il secondo. Egli per qualche bizzarro motivo ha deciso di essere in competizione con me, e coglie ogni occasione per sminuirmi e mettere in dubbio le mie capacità. Poco importa, comunque: maestro Filippo ha sostenuto che la precedente spedizione sia finita in disastro proprio perché i marinai avevano agito in autonomia, e che la presenza di un mago fosse necessaria. Il capitano Tirso ha accettato e così eccomi qui, capo della spedizione. Moliabre ha fatto pressioni per partecipare egli stesso, immagino per potermi controllare meglio e forse sabotare il mio operato, casomai si fosse presentata l’occasione, ma da ultimo egli ha dovuto cedere e restare sull’istmo.

Quando si è saputo che avrei guidato la spedizione Mercionnio e Franco dell’Orso si sono subito offerti volontari, immagino per aver occasione di parlarmi ancora del loro piano di ammutinamento. Di mio non ho nulla in contrario ad averli con me, anzi Mercionnio è il marinaio verso cui nutro maggiore fiducia, ma una cosa è chiara: non posso permettere che questo loro piano di rivolta, per quanto moralmente comprensibile, metta in pericolo la buona riuscita della missione. Meglio comunque tenermeli vicini ed essere così aggiornato su quel fronte.

Potendo e dovendo scegliere un altro membro della squadra mi sono rivolto naturalmente verso Giusmo. Se la mia intuizione è corretta egli ha una naturale resistenza verso i malanni – lasciatemelo scrivere, verso le influenze – cui rischiamo di esporci avvicinandoci al cuore di Malu Malu, tanto che dei quattro esploratori della prima spedizione egli fu l’unico a tornare illeso. Se così stanno le cose egli si rivelerà un alleato prodigioso. Quando ho espresso il mio desiderio di averlo con me egli ha un po’ tentennato, ma dopo qualche ritrosia ha accettato il compito.

Ma, come vi dicevo più sopra, il comportamento di maestro Filippo resta enigmatico. Dopo essersi speso affinché mi venisse riconosciuto un ruolo di comando è tornato a chiudersi in se stesso, e non mi ha dato né indicazioni né supporto materiale. Non so come interpretare questi suoi comportamenti. Sono sì un apprendista mago alla guida di un manipolo di esploratori, ma senza uova spirituali dovrò affidarmi solo al mio intuito e alla fortuna per evitare un altro disastro. Per aiutare almeno un poco le nostre fortune ho chiesto al capitano Tirso che ci fornisse uno dei quattro archibugi che abbiamo visto usati durante l’assalto alla Timorazza. Egli ha tentennato, ma la mia richiesta è parsa così ragionevole che non ha saputo respingerla. Ho orrore di questi marchingegni, e il loro schiocco violento ancora mi suona nelle orecchie, ma tant’è: con quel ferro mi sento un po’ meno indifeso. Ringrazio ora che messer Lao abbia insistito perché prendessi familiarità con le armi da fuoco prima di partire. Spero, forse con ingenuità, che non mi sarà necessario usarle.

Ma come al solito vedo che mi dilungo e rischio di mettere alla prova la vostra pazienza. Stamattina di buon’ora ci siamo mossi. È stata mia cura istruire il gruppo sulla necessità di viaggiare di giorno, e senza stancarci oltremodo, ed essere di ritorno all’istmo prima del tramonto. Non ho giustificato questa mia disposizione, né tanto meno ho fatto cenno alle teorie eretiche di maestro Filippo sui cicli notturni delle attività spirituali dell’isola, ma gli uomini hanno accettato volentieri i miei ordini. Come ho già avuto modo di dirvi, credo di aver guadagnato almeno un po’ del loro rispetto. Ma forse mi illudo: l’idea di non passare una notte all’addiaccio e lontani dall’accampamento principale deve essere parsa così ragionevole da non necessitare giustificazioni.

Quindi, come vi ho scritto, abbiamo risalito la scogliera. Anche con la via ferrata in posizione resta un’operazione lenta, che va compiuta con cautela a causa di certe raffiche di vento che hanno preso a frustare il fianco della scogliera purpurea. Abbiamo impiegato forse un’ora per essere in cima, e qui ho ritrovato un paesaggio insieme familiare e alieno: la foresta smeraldina è ancora magnifica e rigogliosa, ma i segni dell’incendio che io stesso ho appiccato sono ancora ben visibili. La via ferrata conduce anzi proprio al centro di quell’area ora nera e carbonizzata. Qui il terreno è un fango grigio di cenere e acqua, ma già i primi germogli sono comparsi. L’isola è prodigiosamente fertile, e sono certo che i danni delle fiamme verranno presto dimenticati.

L’incendio era stato comunque efficace, e abbiamo potuto muoverci tra monconi spezzati e tronchi anneriti senza temere l’effetto venefico delle liane. Con poca fatica abbiamo raggiunto il limitare della vegetazione. Come ricorderete l’isola è circondata da una foresta rigogliosa e impenetrabile, che come un muro difensivo ne percorre il bordo scosceso. Ma il centro di Malu Malu è più libero, e quando con i miei compagni ho raggiunto il bordo della boscaglia lo sguardo ha potuto spaziare lungo un’ampia pianura, popolata sì da cespugli e bassa vegetazione, ma di respiro più grandioso. L’isola ci è parsa finalmente a nostra portata, uno scrigno che si stava aprendo.

Ma non dovete pensare l’isola come a un tavolo, un blocco monolitico dalle alte scogliere e senza elementi orografici. Verso il centro la superficie dell’isola si alza, a formare un promontorio dal vertice tronco. Ve l’ho descritto in passato come un altopiano, ma ora che l’ho potuto osservare per alcune ore mi vedo costretto a cambiare questa parola e usarne una molto più precisa: al centro dell’isola c’è un cratere.

Ho visto pochi vulcani nella mia vita, sempre spenti e sempre poderosi, ma questa mia modesta esperienza mi ha spinto a parlare appunto solo di un cratere e non di un vulcano. Al centro di Malu Malu vi è infatti una conformazione alta forse alcune centinaia di braccia, e composta della stessa roccia purpurea di cui sono fatte le scogliere. Tale rialzo non ha nulla dell’aspra brutalità che caratterizza i vulcani, né le sue rocce hanno il colore brunito della lava rappresa. Somiglia maggiormente a certe montagnole di fango che i fanciulli per lazzo modellano a volte nei loro giochi, le cui sommità scavano con le mani per poterle poi riempire con l’acqua di un secchio. Le pendici del cratere sono punteggiate della stessa vegetazione che copre la pianura, anche se meno fitta, e che lascia ampiamente intuire il bel colore della roccia sottostante.

Come già l’altra volta sopra il cratere volteggiavano lente delle figure. Oggi mi sono parse normali uccelli, ma la distanza non mi ha permesso di distinguere i dettagli. Soprattutto, oggi nessuna di queste figure ha deciso che fosse il caso di venire a indagare su di noi. Ho quindi deciso di non parlare ai miei compagni di spedizione del mio primo incontro. Come vi ho scritto in apertura, volevo fare un cauto giro esplorativo, valutare la fattibilità degli spostamenti, e poi subito rientrare. 

Procedemmo quindi con il cammino, e subito gli sguardi si rivolsero verso di me in attesa che decidessi il percorso. Anche se l’esplorazione dell’altipiano sarà forse l’obiettivo finale dell’impresa, ho preferito procedere per una via cauta e tenere il mio gruppo vicino al bordo della vegetazione, costeggiando quindi il perimetro dell’isola. Malu Malu è troppo vasta per compierne l’intero periplo in una giornata sola, ma ho pensato che procedere per un paio d’ore lungo il confine della foresta ci avrebbe comunque fornito un buon punto di partenza. Una volta quindi superata l’area dell’incendio svoltammo verso destra e ci avviammo.

La marcia fu piacevole. L’isola è e resta una meraviglia, florida, fertile, amichevole. Tutto favorisce la vita, e tutto la vita invade. Costeggiando l’anello di vegetazione si incontra per prima cosa una macchia di alberi dalla foglia lobata, simili a quelle delle comuni querce, ma molto più lunghe e di una bizzarra bicromia: il lato superiore della foglia è di un rosso vivo, quasi sanguigno; la parte rivolta al terreno è invece verde, e di un verde inteso, come i boschi nostrani sanno essere solo in certe primavere grandemente piovose. Questi alberi crescono in gran numero, e ravvicinati, quasi che una pianta non avesse fastidio nell’estrema vicinanza dell’altra, e anzi i rami dell’una toccano e compenetrano la vicina. Il risultato è un sottobosco scurissimo, e impenetrabile, sovrastato da un tetto di queste foglie così bizzarramente colorate che ad ogni refolo di vento mostrano ora il verso rosso, ora il verde. Guardando questo muro cangiante sono stato invaso da un grande senso di urgenza, come se vi fosse una grave incombenza di cui dovessi tosto occuparmi ma non riuscissi a ricordare. Me ne sono allontanato turbato.

Ho speso qualche riga a descrivere questi alberi perché mi hanno colpito, ma tutta la natura, qui, merita di essere descritta. Ho conteggiato sette specie di alberi mai visti in patria, ciascuno con frutti e colorazione unici. E poi arbusti e erbe e cespugli di ogni forma e colore, non vi è palmo di terreno che non sia coperto da radici, foglie e vegetazione. E anche nella pianura, dove ci spostavamo, la vita vegetale era altrettanto invadente, sebbene le infinite variazioni si limitassero a erbe e bassi cespugli. Ho più volte incontrato dei frutti gialli, simili a lamponi, dall’aspetto e profumo massimamente invitanti, ma data la brutta esperienza con le liane ho preferito astenermi dall’assaggiare alcunché.

Di vita animale, invece, non posso riferire. È pure vero che sentivamo in lontananza qualche richiamo come di uccelli misteriosi, ma sempre provenire da zone nascoste, e fronzute, e sempre in allontanamento.

Poco prima di mezzodì abbiamo incontrato un rio che proveniva dal centro dell’isola, sulla nostra sinistra, e poi si gettava nella vegetazione per alimentare, credo, una delle cascate che abbiamo osservato avvicinandoci all’isola. La sorgente di questo rio deve essere forse quello stesso promontorio di cui vi dicevo sopra. Abbiamo ragionato che di questa stessa acqua abbiamo già bevuto, dato che proprio da quelle cascate è stato fatto rifornimento, e abbiamo ritenuto fosse un buon posto per riposare.

Come mi aspettavo, Mercionnio ha distratto Giusmo con una scusa così da permettere a Franco dell’Orso di parlarmi in privato. Egli pare molto felice di avermi dalla loro parte, ed è convinto che li aiuterò, quando verrà il momento. Io ho continuato a reggere il gioco, pur con un certo senso di colpa. Non voglio illuderlo, né comportarmi da traditore, ma stiamo parlando di un ammutinamento. La faccenda potrebbe farsi brutta.

In breve, Franco dell’Orso mi ha informato che con lo scontro dell’altra notte hanno potuto valutare meglio la potenza di fuoco a disposizione del capitano Tirso, e che grazie alla mia fine strategia di chiedere un archibugio per la spedizione ora le forze sono molto più bilanciate. Non ho avuto cuore di confessargli che quell’archibugio ora pendeva dalla mia spalla perché mi sentivo completamente indifeso, e ho il sospetto che se anche glielo avessi detto non mi avrebbe creduto, tale egli è convinto che io abbia abbracciato la loro causa. Egli inoltre mi ha informato che hanno intenzione di colpire alla prima occasione buona. Franco dell’Orso è convinto che nessuno nella ciurma si opporrà, con l’eccezione forse di Moliabre, il secondo del capitano, e di pochi altri loro fedelissimi. Anticipando le mie preoccupazioni, Franco dell’Orso mi ha assicurato che vuole solo ristabilire un livello di decenza civile e di moralità, e che l’impiccagione del povero Curcumello non può andare impunita. Si augura che non ci sia necessità di spargimenti di sangue, e che se possibile avrebbe intenzione di catturare capitano Tirso senza fargli male. Egli mi ha poi citato non so quale regolamento della flotta regia, per il quale in caso di grave infermità da parte del capitano la ciurma è autorizzata ad organizzarsi in autonomia. Finalmente, è arrivato alla domanda che gli premeva farmi: potrò io occuparmi di maestro Filippo? Ho sentito un grande timore nella voce di Franco, in quanto egli giustamente non conosce le capacità del mago. Sarò io il loro asso vincente?

Nella scorsa lettera vi scrivevo tutto il mio rancore per maestro Filippo. L’occasione che si presenta quindi è d’oro: potrei sbarazzarmi di lui, levare le armi contro quello che non considero più come il mio superiore, e riportare decenza civile e moralità a questa spedizione. Ma resta, comunque, un’enormità, e un affronto tale a tutto ciò a cui ho creduto finora – dialogo, ponderatezza, raziocinio – che difficilmente mi vedo a levare la mano fratricida. Temo però che a breve sarò costretto a prendere una decisione, magari sull’impeto del momento, e ho paura di cosa il mio cuore mi dirà di fare.

Al nostro ritorno Mercionnio mi è parso molto turbato e, sotto mia indagine, ha confessato di aver udito fruscii e altri suoni sinistri provenire dalla boscaglia, e di non sentirsi sicuro. Egli non aveva visto nessuno, e questo ancora di più lo spaventava, poiché in preda alla propria immaginazione finiva per vedersi a fronteggiare chissà quali mostruosità. Io ho cercato di tranquillizzarlo, ma proprio in quel momento io stesso ho sentito un rumore proveniente dal bosco a poca distanza da noi. Era un qualcosa di grande almeno quanto un uomo, forse di più, che nel procedere spezzava rametti, frusciava e sbuffava. D’istinto imbracciai l’archibugio e iniziai le complesse operazioni di carica, che sono piuttosto certo di aver completato male e con errore a causa della fretta. Puntai comunque la bocca di fuoco nella direzione del rumore, ma qui avvenne un fatto notevole: Giusmo mi si avvicinò, mi pose una mano sulla spalla e l’altra sull’archibugio, invitandomi ad abbassarlo. Egli scosse il capo, e dopo un istante i fruscii svanirono.

Non so come interpretare il suo gesto: egli voleva invitarmi a non sprecare colpi? Non avevo un bersaglio in vista, è molto probabile che un mio colpo sarebbe andato a vuoto. Ma sul suo volto c’era altro, un’apprensione, come se egli volesse impedire un evento doloroso.

Passarono i minuti, e dato che niente altro accadeva decidemmo di rientrare, tornando sui nostri passi. Non ho niente di straordinario da riferirvi oltre a questo. Il rientro fu quieto e ordinato e un’ora prima del tramonto ero nella mia tenda, saziato, lavato, dopo aver fatto rapporto alla ciurma e anche a maestro Filippo, che mi ha ascoltato grifagno e senza dire nulla.

Dato che domani torneremo sull’isola ho ritenuto di tenere l’archibugio, e d’altra parte il capitano non si è sognato di chiedermelo indietro. Vedremo.

Servo vostro,

L.

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