In questo posto mi sono trovato nei guai. Apro la porta dell’aia e c’è zia Rosy che mi viene incontro sorridente, portando una cassa di patate. L’orto sta andando meglio del previsto, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Mi guardo le mani, sto reggendo degli attrezzi da carpentiere. “Ti sei deciso, finalmente” Rosy ha un tono lievemente canzonatorio, ma traspare anche gratitudine. Alzo lo sguardo, e contro il cielo clamorosamente terso si staglia il profilo del mulino a vento. Serve per sollevare l’acqua dal pozzo, senza mulino dobbiamo usare la pompa a gasolio, che è rumorosa, costosa, e manda cattivo odore. Sono almeno un paio di mesi che mi dico che devo riparare il mulino, ma c’è sempre tanto da fare. Mi avvio, e intanto penso all’elenco delle possibili riparazioni. Se è un problema meccanico, probabilmente posso cavarmela da solo, o al massimo dovrò chiedere a Richardson se mi fa usare la sua forgia e dargli un paio di dozzine di uova e magari una torta di Mary Jane. Se è un problema idraulico, è un problema. Non ci ho mai capito molto, e le mie riparazioni tendono ad essere piuttosto posticce.
Ispeziono il mulino: è un edificio alto e stretto, come una torre. La base ha dodici lati. So che dovrei sapere come si chiama una figura a dodici lati, ma non riesco a ricordarlo. Comunque, la base pare integra. Non vedo perdite, ma l’albero che dovrebbe trasmettere il movimento è fermo. Eppure le pale, in alto, girano. Ottimo segno, ma anche pessimo: probabilmente è saltato un ingranaggio, niente che non possa affrontare, ma soffro di vertigini e detesto lavorare in alto. Controvoglia, metto mano alla stretta scala interna ed inizio a salire.
Il mulino è stretto, e si stringe ancora salendo. È normale che sia così, non servirebbe a nulla farlo più largo, e abbiamo usato il minimo del legname, per risparmiare. Ci sono tre pianerottoli interni, poco più che assi di legno inchiodate in malo modo. Sul primo ha fatto il nido una famiglia di gazze. Passando mi prendo un uovo, tra le proteste di mamma gazza. Ma è giusto così: noi paghiamo l’affitto per il terreno al signor Dusey, e lei deve pagare un po’ di affitto a noi per il rifugio al riparo dal vento.
Salire è una storia piuttosto lenta. Dal secondo pianerottolo la scala è così ripida che devo provarci tre volte prima di trovare il coraggio di andare. Sento il sangue che mi rimbomba nella testa. Cerco di non guardare attraverso le fessure tra le assi, e mi concentro sul compito pratico. Il vento continua comunque a fischiare, e i rumori della fattoria mi arrivano attutiti, rimbombando nello spazio vuoto sotto di me. Mi tremano le mani, mi tremano le gambe. Non riesco, mi fermo. Mi concentro, respiro con disciplina, inizio a pensare che è solo una scala, che l’ho già fatto altre volte. Sono visitato dallo strano ricordo di quando, in volo su cieli alieni, mi sono tuffato da un dirigibile per assaltare un biplano, quattrocento metro più in basso. L’immagine mi confonde, cerco di capire da dove venga, ma poi il vento cessa e in qualche modo la scala non mi sembra poi così ripida. Sono quasi arrivato: riesco già a intravedere gli ingranaggi. Mi attivo, e in qualche modo arrivo a destinazione.
In cima ormai lo spazio è risicatissimo, devo stare accucciato, seduto sulla piattaforma che regge gli ingranaggi, con le gambe a penzoloni sulla botola della scala. Le pale del mulino sono montate all’estremità di un asse orizzontale, che dall’altro lato è fissato ad un perno. L’asse può ruotare attorno al perno, per seguire il vento, e su sé stesso, con le pale. Un sistema di ingranaggi trasmette il movimento dall’asse orizzontale a quello verticale, e poi quello verticale aziona la pompa. Non sono sicuro di aver capito come funziona. Cioè, quando ce l’ho davanti agli occhi mi è chiaro, è anche abbastanza semplice. Ma so che non saprei riprodurlo. Comunque, il problema è palese: uno degli ingranaggi si è spezzato, isolando il movimento orizzontale da quello verticale. Esaminando le varie componenti, diagnostico che la frattura sia avvenuta a causa di un rapporto di tensioni disequilibrato, che genera un angolo di pressione tale sottoporre l’ingranaggio ad un ciclo di compressioni ed espansioni destinato a spezzarlo. Sto valutando se passare da un profilo evolvente di cerchio ad uno con corona ipoide e pignone, ma vengo distratto da rumori sotto di me: qualcuno sta salendo, e di fretta. Prima che riesca a mettere a fuoco la situazione compare dalla botola Mary Jane, la figlia di zia Rosy. Capelli biondi, lentiggini sul naso, labbra carnose, un seno mal contenuto dalla camicetta a quadri. Mi sorride e mi sciolgo, dimenticando gli ingranaggi. Mary Jane è mia cugina, ma di secondo grado. Siamo cresciuti assieme, lei ha un anno più di me, e io so che non dovrei fare su di lei i pensieri che faccio, che è irrispettoso e sbagliato. Lei non ha mai dato segno di essere consapevole di quello che provo per lei, eppure adesso è qui, ancora in piedi sulla scala a chiocciola, che spunta dalla botola, tra le mie gambe. Si muove e fa quello che ha fatto un milione di volte nelle mie fantasie. Sorride e non dice niente e mi accarezza la coscia: io sono bloccato e balbetto qualcosa ma lei sembra sapere dove vuole andare e inizia a slacciarmi la patta dei pantaloni. È perfetta. La ragazza che popola i miei sogni erotici mi prende il membro ben eretto, si slaccia con noncuranza un bottone della camicetta, e mi appoggia tra quelle splendide, sodissime, generose tette che si ritrova. Mi guarda, sorride sbarazzina, non so cosa dire, lei è perfetta. Io sono bloccato, tra le vertigini e il poco spazio, non posso che subire, finalmente libero di responsabilità, i suoi movimenti ondulatori prendono ritmo e desidero lasciarmi andare e godere ed essere in pace e tutto è perfetto. Tutto è perfetto. La vita in fattoria. I semplici problemi meccanici. Io giovane e forte. La ragazza dei miei sogni. Tutto è perfetto. Scuoto il capo, intristito dalla facilità con cui sono caduto nella trappola. Abbandono questo posto, e mi affretto a dare certezza ai miei sospetti: mentre mi godevo l’illusione il mio mezzo è stato saccheggiato, mancano parecchi manufatti e hanno portato via uno dei due kit d’emergenza, con tanto di riserva di Vertigine e modulo di fuga. Non so esattamente cosa possano farsene, ma va considerato che l’intelligenza motrice di questo posto-trappola è notevole. Io non ho mai sofferto per l’altezza, e il mio corpo è asessuato da molto tempo, eppure è riuscita a trattenermi e, quando la discrepanza tra le mie conoscenze reali e quelle illusorie si faceva palese, distrarmi, facendo proseguire il racconto ed evocando emozioni ed impulsi piuttosto credibili, facendo delle mosse anche azzardate pur di guadagnare tempo. Tuttora, mentre redigo il rapporto, sento un grosso impulso a tornare da Mary Jane, e non oso guardare nel vuoto infinito dell’interposto.
Spero che l’effetto residuo passi in fretta.
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