EXPL 07: tempus fugit

Questo posto è lento. All’inizio pensavo fosse la classica anomalia temporale, con la realtà nativa che si muove al rallentatore ed io che attraverso il panorama come una scheggia impazzita. Un’indagine più attenta mi ha portato a ben altre scoperte.
Arrivo in un’affollata area metropolitana, automobili, umani indaffarati, venditori di cibo alle strade. Solo che tutto pare immobile, cristallizzato: una donna vestita di rosso attraversa la strada, un uomo brizzolato si guarda la cravatta, un bambino affronta un lecca lecca. E così via, ovunque. Mi servono cinque minuti buoni – minuti del mio tempo soggettivo – per accorgermi del movimento attorno a me. Lo noto dai dettagli: la donna in rosso ha abbassato le palpebre, l’uomo ha sollevato lo sguardo, la lingua del bambino è entrata in contatto con il lecca lecca. Calcolo che il tempo dei locali scorra tra le cento e le duecento volte più lento del mio. Ma non è un’anomalia, e lo verifico con facilità: raccolgo e faccio cadere un sasso, che piomba a terra normalmente, con un’accelerazione coerente con la gravità locale. Anche tutto il resto sembra normale: capelli e vestiti nel vento; le nuvole in cielo; l’acqua di una fontana. Tutto secondo la solita cinematica. Il problema sono i locali: sono loro ad essere lenti. Mi aggiro per le strade e ho il raro privilegio di poter osservare le vite degli uomini, spaccati di storie che vedo crescere come gli anelli degli alberi. La velocità mi pone su un piano diverso, fatico a empatizzare, non mi sento parte della stessa vita. Rifletto sulla possibilità di interagire con i locali, di lasciare un messaggio che possano leggere, con i loro tempi, e metabolizzare, e magari formulare una risposta, che però arriverà per forza di cose dopo la mia partenza, e forse anche dopo l’arrivo dello Stato (intendo suggerire l’annessione). Mi si pone il problema etico di decidere quanto a fondo interagire con questa realtà dove potrei fare grandi cose, ma anche cose terribili, e nessuno potrebbe fermarmi. Mentre sto ponderando quale sia il corso d’azione più gentile e illuminato, vengo distratto da rumori di qualcosa che succede alla mia velocità. Sono rumori di attività smaccatamente biologica, concitata, lubrica.

Il soggetto è quasi umano, nudo, con una riga porpora lungo la spina dorsale (tatuaggio o tratto biologico?). In realtà non è del tutto nudo: indossa un paio di scarpe da ginnastica e poco distante da lui c’è un mucchietto di vestiti che potrebbe appartenergli. Lo trovo mentre si sta accoppiando con una giovane donna che si era piegata a raccogliere il telefono. L’intruso, approfittando della logistica e della differenza di velocità, è intervenuto sollevandole la gonna e forzando un coito dalla dubbia consensualità. La donna lascia forse trasparire un accenno di sorpresa, una reazione normalmente fulminea, ma che in questo caso richiederà qualche minuto nel palesarsi, e forse ore prima che il cambio di posizione renda quantomeno scomoda la prosecuzione dell’accoppiamento. Ma non è necessario attendere così a lungo: il penetratore alza lo sguardo, mi vede, scappa. Più per aderenza alle regole della narrativa che per mio reale desiderio, lo inseguo. Ma non è facile: è veloce, e non si fa remore ad usare i locali come ostacoli da frapporre tra me e lui. Io non voglio usare Vertigine, né far del male agli autoctoni, e poi l’inseguimento mi dà modo di osservarlo meglio: è sicuramente non umano, anche se la forma è quella. Ma movimenti sono troppo disarticolati, balza su una tettoia e da lì sul cofano di un camion e poi ancora in strada, capriola, ed è di nuovo in movimento. No, decisamente non umano. Gli sto dietro a malapena, compensando con la resistenza la differenza di agilità. Dopo pochi minuti mi è chiaro che sta girando in tondo, come se non volesse allontanarsi da qualcosa. E si sta stancando. Io attendo il momento opportuno e scatto a mia volta: ci schiantiamo rovinosamente tra i tavolini di un caffè, gli avventori cristallizzati ci metteranno giorni a reagire, noi ci accapigliamo e rovesciamo tutto, io mi esprimo negli idiomi più comuni e cerco di dirgli che non ho intenzioni bellicose ma capisco che le apparenze ingannino, dato che lo sto prendendo a pugni. Poi ci stacchiamo, lui ha il fiatone, sembra anzi proprio sfinito, cerco di esprimermi a gesti, di mostrare che non ho intenzione di infierire, che voglio parlare, ma pare che qualcosa si sia rotto: si prende la testa tra le mani, getta un grido, e vengo investito da un incredibile boato: voci, suoni, traffico e grida. I locali sono tornati a velocità normale, e la vita attorno a noi riprende a scorrere normalmente. Mi ritrovo in un caffè mezzo distrutto accanto ad un uomo nudo che si tiene la testa tra le mani, per i presenti siamo sostanzialmente comparsi dal nulla e quello che segue è quello che ci si aspetta: panico collettivo, intervengono le forze dell’ordine, sono costretto ad usare un po’ di Vertigine per nascondermi. Assisto all’epilogo della scena: il soggetto, in stato di shock, viene arrestato e trascinato via. Dalle chiacchiere dei passanti capisco che le sue cronoscorribande andavano avanti da tempo. A quel punto seguo l’istinto e perlustro l’area. Mi ci vuole un’ora buona per trovare quello che sto cercando: è un aggeggio metallico, poggia su tre zampette ed emette un sordo ronzio da un alloggiamento ogivale che non sono ancora riuscito ad aprire. È chiaramente oltre il livello tecnologico locale, e il soggetto non voleva allontanarsi troppo da esso. Lo porto a bordo e confermo i miei dubbi: viene da un altro posto. Che vuol dire che qualcuno ce l’ha portato, qualcuno che ha accesso all’interposto. Torno alla stazione di polizia con l’intenzione di prelevare il soggetto, ma ovviamente se ne sono perse le tracce. Testimoni dicono che sia letteralmente svanito in un lampo verde. Resto in questo posto altri quattro giorni, ma la mia ricerca è infruttuosa: mi è scappato.

Aggiungo qualche considerazione, giusto per fare chiarezza a me stesso. Non so bene cosa pensare. Il soggetto non era un esploratore dello Stato, questo è chiaro. Quale scopo aveva quel coito che ho interrotto? La riproduzione sessuata, peraltro interpostale, sembra un’ipotesi piuttosto debole. Il congegno che ho recuperato ha probabilmente grande valore, almeno per il soggetto. Devo aspettarmi ripercussioni? Potrei spedirlo verso una colonia, ma immagino non serva a molto mandarlo in un qualche posto sperduto e non civilizzato dove verrebbe messo in un cassetto e dimenticato. Per un’analisi completa serve un polo tecnologico congruamente attrezzato, e fuori dallo Stato ce ne sono pochi. E tutti, incidentalmente, piuttosto lontani da dove mi trovo ora. Una deviazione adesso mi farebbe perdere molto tempo – ironico che il tempo sia la chiave di tutta questa storia – e sono già indietro con le tabelle di marcia. Non mi resta che aspettare il prossimo rendez-vous e sperare che niente di pericoloso sia in grado di tracciare la posizione del congegno.

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