EXPL 26: Euterpe

Questo posto è invaso dalla musica. È ovunque, esce dall’aria, dalle cose, e bisogna adeguarsi. Genere e ritmo dipendono dalla zona geografica: ho visitato un villaggio in un’area di musica soave, archi e flauti dolcissimi che suonano tutto il tempo melodie eteree. Gli abitanti mi sono parsi molto rilassati e un poco spenti, ma la vegetazione è rigogliosa e anche la fauna mostra un ottimo vigore. Entrando in paese ho incrociato una mandria di mucche che lentamente attraversavano la strada: dopo mezz’ora di attesa ho capito che l’operazione sarebbe stata ancora molto lunga e mi sono avventurato attraverso i bovini. Erano in effetti piuttosto placidi.

Anni di musica dolcissima hanno condizionato la popolazione, rendendola ipersensibile ad ogni dissonanza. Ho voluto verificare la mia intuizione a pranzo, in trattoria: ho fatto cadere un bicchiere. È vero che, frantumandosi, ha prodotto un suono cristallino e angelico, ma è stato comunque sufficiente per gettare tutti i presenti nello sconforto: una coppia attempata ha ostentatamente fatto finta di non vedermi, una bambina ha iniziato a piangere silenziosamente, e l’oste è venuto prontamente a raccogliere i vetri, con le mani, uno per uno, evitando di provocare ulteriori disagi. Qui le feste devono essere eventi piuttosto castigati.
Mi allontano dal villaggio e, dopo circa un’ora di cammino, sento un
mutamento nell’aria. La musica – sempre invadente – inizia a prendere
ritmo. Più proseguo e più cresce un carattere cacofonico, fanno la loro timida comparsa i fiati, le percussioni, e quando il ritmo diviene smaccatamente sincopato è ormai chiaro che ho cambiato area: sono nel jazz, è un disastro. Gli alberi sono contorti e multicolori, mi attraversa la strada una sorta di gatto a tre code, la strada stessa pare muoversi sotto i miei piedi e come in una specie di terremoto mi tocca bilanciarmi, trovare il mio equilibrio, sincronizzarmi con il tempo, ed insomma mi ritrovo a ballare. Peggio, vengo assalito da tre briganti che ridendo e ballando mi sbattono in faccia un coltello, io me la do a gambe e loro dietro, su un interminabile assolo di sassofono, poi uno mi raggiunge e rotoliamo da una scarpata con il charleston impazzito e il rullante spazzolato, mollo qualche pugno e prendo qualche taglio e mentre suoi i compagni lassù in cima decidono che non ne vale la pena questo non mi molla e io riscappo per la campagna che si inurba: cambia musica, il ritmo è facile e la melodia è diretta, batteria e chitarra, stiamo saltando tra i vicoletti di una periferia vitale, piena di giovani innamorati e speranza nel futuro, un’auto bombata e lucidissima quasi mi investe e mi giro per affrontare finalmente il mio avversario – perché non c’è spazio per i codardi nel rock’n’roll – ma lo vedo atterrito, disgustato, incapace di accettare la schiettezza di un ritmo in quattro quarti: con un gancio lo stendo e gli sguardi sono tutti per me, le ragazze mi mandano baci schioccanti e i maschi mi sorridono, un po’ compagni e un po’ sfidanti. Sento l’irresistibile impulso di passarmi il pettine tra i capelli impomatati e di seguire la mia natura di ribelle, mentre sfreccio verso l’orizzonte su una decappottabile rubata. Più parco, mi accontento di una soda e mi guardo attorno: sono tutti giovani, bellissimi e in perfetta forma. Dove stanno i vecchi? Forse sono finiti in altre aree, emigrando come elefanti quando le ossa cominciano a scricchiolare, hanno cercato riparo in musiche più adatte a chi non ha più vent’anni e ha capito che era tutta una fiammata, che non è un modo serio di far andare avanti un paese.
Ecco, parlo come mio padre. Padre che non ho avuto per inciso. Cambio aria e mi trovo in un deserto spoglio, accompagnato da ritmi antichissimi di tribù estinte e riformate all’infinito: c’è il tamburo, ci sono i canti, c’è un racconto a due voci che mi parla dell’angoscia della donna in attesa del ritorno. L’animale chiede: cosa vuole il tuo uomo? E la donna risponde: portarmi carne e pelli. L’animale chiede: dove prenderà carne e pelli? E la donna risponde: tu darai la carne e le pelli. L’animale chiede: perché devo farmi ammazzare? E la donna risponde: per nutrirci e per vestirci, per fare tende e collane. L’animale chiede: cosa devo fare quando il tuo uomo viene? E la donna risponde: non lottare, metti via il corno e fatti sorprendere. L’animale chiede: cosa ne avrò in cambio? E la donna risponde: ti diremo grazie.

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