Luminosissimo maestro,
se ho interpretato correttamente i grugniti del capitano Tirso deve mancare ormai poco, pochissimo, al nostro attracco a Malu Malu. Mi pare quindi un buon momento per iniziare, finalmente, a scrivervi la prima lettera. Se le cose andranno bene questi miei scritti si srotoleranno raccontandovi l’impresa, i progressi e le scoperte. Se le cose andranno male avrete perlomeno un resoconto onesto di cosa è successo. Spero che quando mi leggerete – tra molti mesi – sarò lì a fianco a voi, di nuovo pronto ad abbeverarmi alla vostra saggezza. Soprattutto, spero che sarò ancora vivo e intero.
Vorrei potervi dire che il viaggio fino a qui sia stato tranquillo e privo di imprevisti, ma conoscete bene la difficoltà della tratta. Più di una volta il mare ci è stato ostile e rabbioso, un’intelligenza cattiva che mal sopportava il nostro passaggio. Non voglio criticare le doti di navigatore del capitano, che immagino abbia fatto il possibile per far fronte ai danni riportati molte volte dalla nostra caravella. Vorrei invece criticare, e con fermezza, le sue doti di umanità. Egli tratta i membri dell’equipaggio con disdegno, rabbia, e anche violenza. Io e maestro Filippo siamo sempre stati al riparo dalle sue sfuriate, e anche il suo secondo sembra in qualche modo godere del suo rispetto. Tutti gli altri marinai sono invece oppressi, una massa di vittime che, prima o poi, si ribellerà. Sono quasi stupito che non si siano ammutinati durante il viaggio, quando eravamo a settimane di navigazione dalla terraferma. Non so come avremmo affrontato la situazione, e temo per le misure che avrebbe adottato maestro Filippo.
Ecco. Maestro Filippo. Io non so cosa aveste in mente quando mi avete proposto come suo assistente per questa impresa. Mi fido di voi, lo sapete, però proprio non riesco a capire. Prima di partire ho avuto accortezza di leggere i suoi scritti e so che egli è uomo di grande, grandissima sapienza. Sono certo che le sue conoscenze dell’Arte siano profonde – mi pare di capire che egli sia un vostro pari, anche se non mi è facile fare confronti. Una cosa però è certa: egli non ha bisogno di un assistente. Peggio ancora: egli non lo vuole proprio un assistente. Tutti i tentativi di comunicare con lui, di trovare un punto di contatto e penetrare il muro che egli si è costruito attorno sono stati dei pieni fallimenti. Egli non solo non ha interesse a parlarmi, ma ha messo bene in chiaro che mal sopporta il mondo intero, cielo, terra, navi e isole. Se potesse, tornerebbe indietro. Se potesse, non sarebbe mai partito. Questi due mesi di viaggio non ci hanno avvicinato di una spanna. Io speravo che avrei avuto occasione per confrontarci, per imparare – come faccio con voi, sempre – da tutto, dalle lezioni e dal vivere quotidiano, dalle parole e dai silenzi. Niente di tutto questo. Mi ha parlato cinque volte in tutto – ne ho preso nota, giacché non ho poi molto da fare – ma l’ha fatto solo quando le condizioni l’hanno imposto e solo per questioni pratiche.
È con queste premesse che ci avviciniamo all’isola. Gli uomini sono nervosi, eccitati, agognano il cambio di paesaggio, l’avventura, il guadagno. Il futuro si sta avvicinando con rapidità, non resta che attendere.
Servo vostro,
L.
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