Stai attento ai cocci e ascolta

[Questo dialogo l’ho mandato al Premio Nazionale di Filosofia 2018 (https://www.premiodifilosofia.it/) che aveva come titolo: “Dove abita il bello?”.  Non ho vinto, ma mi son comunque divertito a scriverlo.]

  • Madre! Madre! Ascoltate! Finalmente è successo: mi sono innamorato! Lei è così bella!
  • Figlio mio, siediti, calmati. Che gioia che hai davanti, e che cammino impervio.
  • Perché dite così, madre? Aiutatemi, spiegatemi.
  • Sull’amore posso dirti poco, perché l’amore ascolta poco le parole. Sulla bellezza forse c’è qualcosa di più da dire.
  • Allora, madre, parlatemi della bellezza.
  • Iniziamo. Guarda qua. Vedi questo vaso? Vedi la manifattura, la perizia dell’artigiano, la cura del dettaglio?
  • Certo.
  • Lo trovi bello?
  • Sì, senza dubbio.

<getta il vaso a terra, va tutto in frantumi>

  • Ecco fatto.
  • Madre! Che vi è preso? Perché l’avete rotto?
  • Volevo farti vedere la bellezza, quella cosa di cui parli, di cui mi chiedi, e di cui forse non sai nulla. Ecco. Guarda questi cocci, questi frantumi. Ti paiono ancora belli, ora?
  • Certo che no.
  • Ma guarda: tutti i pezzi originali sono ancora qui. Tutti gli atomi. Uno per uno, ci sono ancora tutti. Dov’è finita la bellezza?
  • Che domande, madre. Ora non hanno più forma, è tutto senza senso, disordinato.
  • Ah! Ecco una cosa interessante.
  • Cosa volete dire?
  • Il bello è quindi una cosa ordinata? Immagina un magazzino, immagina cinquecentomila paia di scarpe dentro cinquecentomila scatole da scarpe, impilate con grande ordine. È bello?
  • Non saprei.
  • Ti aiuto: è bello abbastanza da farti innamorare, da farti mancare il fiato, da farti salire le lacrime agli occhi?
  • No, no, ovviamente. Ma che c’entra? Io volevo solo parlarvi del mio nuovo amore!
  • Ci arriviamo, ci arriviamo. Ascolta. Stai attento ai cocci e ascolta. C’è un asteroide.
  • Un asteroide?
  • Sì. Sai cos’è un asteroide?
  • Certo. È un grande sasso che galleggia nello spazio.
  • Perfetto! C’è questo asteroide, questo sasso. È grande qualche chilometro, e viaggia. Ed è bellissimo. Un paesaggio mozzafiato, alieno, incredibile, niente di paragonabile a quello che vediamo qui sulla terra. I minerali di cui è fatto l’asteroide formano dei cristalli che rimbalzano la luce stellare in una miriade di forme e varietà. C’è armonia, naturalezza, perfezione, e se lo vedi, ascolta, se lo vedi ti commuovi.
  • Addirittura!
  • Sì, certo. Un sasso. Cristalli. Potrebbe succedere, non è impossibile. Ecco, pensa a questo asteroide, al suo paesaggio alieno, naturale, bellissimo. Riesci a immaginarlo?
  • Un po’, se chiudo gli occhi.
  • È bello?
  • Sì. L’avete detto voi stessa: è un paesaggio mozzafiato.
  • Perfetto. L’asteroide è bello. Ma c’è un problema.
  • Sta per schiantarsi sulla terra?
  • No, tutto il contrario. È lontanissimo. Dall’altra parte dell’universo. E sta viaggiando in direzione opposta a noi. Sta scappando da noi, e sta andando così veloce che non lo raggiungeremo mai. Nessun uomo lo raggiungerà mai.
  • Che peccato!
  • Perché?
  • Perché cosa?
  • Perché dici che è un peccato?
  • Beh, perché nessuno lo vedrà mai. È una visione mozzafiato, i cristalli, quelle robe lì che mi avete detto, e che io ho immaginato, e nessuno lo vedrà mai.
  • E quindi resta bello? Anche se nessuno lo vede?
  • Ma certo, che domande. Se è bello è bello comunque.
  • Diciamo allora che non è vero che nessuno lo vede. Qualcuno lo vede. Degli esploratori alieni passano per caso da quelle parti e atterrano sull’asteroide per farci un giro.
  • Beh, almeno loro lo apprezzeranno.
  • No, per niente. Vedi, questi alieni sono ciechi. Vanno a tentoni, scrivono in braille e continuano a sbattere contro i cristalli, che sono taglienti e pieni di spigoli. Dopo un certo numero di tagli e ammaccature gli alieni decidono che l’asteroide è un luogo terribile e, presta attenzione, bruttissimo.
  • Beh, ma sono ciechi!
  • Già. Però puoi biasimarli? Per loro era tutto un farsi male, un tagliarsi, un inciampare. Li capisci, no?
  • Sì, forse. Per loro. Per loro l’asteroide non era un bel posto.
  • Già.
  • Già.
  • Sì ma quindi che c’entra tutto questo con la mia ragazza?
  • Dimmelo tu.
  • La mia ragazza… è come l’asteroide? O come il vaso in pezzi?
  • Sì, e no.
  • Aiutatemi!
  • Questa bellezza, di cui parli. Il bello. Dove sta?
  • È nelle cose. È una qualità delle cose.
  • E il vaso andando in pezzi ha perso questa qualità?
  • Sì? Vorrei dirvi di sì, ma credo sia una trappola.
  • Dimmi quello che credi.
  • Allora sì, penso che il vaso abbia perso la bellezza andando in pezzi. Non è neanche più un vaso, a ben guardare.
  • Ma l’essere un vaso – o il non esserlo – è facile da capire. Deve essere concavo. Deve avere un’apertura, sopra. Se è fatto per i liquidi non deve essere bucato né poroso. Tutte queste cose le sai. Ma la bellezza? Che differenza c’è tra un bel vaso, istoriato, dipinto, pregiato, e un vaso dozzinale, di quelli conici, di terra cotta, da pochi spicci?
  • Volete dire che in qualche modo c’entro io? Che sono io che l’ho trovato bello?
  • Prova a spiegarti meglio.
  • È una connessione, la bellezza è un collegamento tra un oggetto e chi lo osserva.
  • O annusa o ascolta o assapora o legge.
  • Certo, tutti i sensi sono coinvolti, un bel suono, un bel romanzo. Vado bene, ho capito?
  • Sì, e no.
  • Ma come! Ero convinto!
  • Ci sei quasi. Ricorda l’asteroide. Lo stesso oggetto è bello per un uomo, brutto per un alieno.
  • Detta così sembra che l’oggetto – quella cosa che doveva essere o non essere bella – ecco, sembra che l’oggetto non abbia importanza.
  • Esatto!
  • Ma non può essere!
  • E invece sì. Per un motivo molto semplice: il bello abita qui.

<fa il gesto di indicare il cuore del figlio>

  • La bellezza è un’emozione. Per secoli abbiamo sbagliato a parlare. La lingua, la lingua ha colpa. Diciamo che un vaso, un cavallo, una donna sono belli. Ma quello che stiamo davvero dicendo è: quando guardo questo vaso, questo cavallo, questa donna io provo un’emozione. Un’emozione positiva, che mi fa piacere provare, che mi fa dare valore all’oggetto. Ma lui, l’oggetto, non fa niente. Se ne sta lì. Sono io, sono io quello che prova l’emozione. Sono io l’artigiano della bellezza. È successo tutto nel mio cuore. Convinto?
  • Mah. Non ne sono sicuro. Certe cose mi sembrano belle in maniera oggettiva. Perché insomma, mica ci sono gli alieni. E certe cose, certi paesaggi, certi volti piacciono a tutti.
  • Ti ricordi l’anno scorso, che siamo stati due settimane in montagna? Il primo giorno apro le finestre, guardo i picchi innevati e penso: che bello. Starei qui a guardarli tutto il giorno. Il secondo giorno lo stesso, ma un po’ meno. Il terzo giorno ancora meno. E via di questo passo.
  • Vabbè, che c’entra, vi siete abituata.
  • Già. Però tutti quanti il primo giorno eravamo lì, bocca aperta, occhi stralunati, a dire: oooooh, che beeelllloooo. Come caproni.
  • La montagna fa un po’ quell’effetto.
  • E però questa bellezza non è della montagna. La montagna sta. È una delle cose che riesce a fare meglio. Sta ferma, da millenni, sempre uguale a se stessa.
  • Capisco quello che mi dite, se la bellezza è una qualità dell’oggetto, e l’oggetto non cambia…
  • …non dovrebbe neanche cambiare la nostra percezione.
  • Però certe cose piacciono di più. Aspettate, cerco di essere preciso: certe cose, di solito, statisticamente, suscitano più emozioni di altre. L’emozione della bellezza, come dite voi.
  • Vero. Verissimo. Siamo tutti scimmie e le emozioni nel branco seguono dei percorsi regolari. Senti qua: alle medie avevo un fidanzato grassottello. A me piaceva, che la ciccia mi fa allegria, ma sai com’è alle medie, è un momento crudele. Le altre ragazze a scuola mi prendevano in giro. Era successo che quello che era bello per me andava contro la statistica.
  • E com’è andata a finire?
  • Che l’ho lasciato e mi sono messa con un pollo, noiosissimo, ma convenzionale, e nessuno mi ha più importunato.
  • Però ho l’impressione che tutta questa chiacchiera si riduca, senza offesa, a una frasetta da calendario dei santi.
  • Intendi de gustibus non disputandum est?
  • Ecco.
  • Sì, e no. Finché sono gusti è chiaro a tutti come funziona. A me piace il pistacchio, a te il cioccolato. Facile. Diventa un problema quando prendiamo il gusto più comune e gli mettiamo addosso un’etichetta. Prendiamo questa cosa, che per carità, piace a tanti, e diciamo: è oggettivo. È bello. Ma la bellezza non è quello. La bellezza non è il gusto più popolare. La bellezza sta nei cuori, e tutti i cuori sono diversi.
  • E quindi, la mia nuova ragazza? Cosa mi potete dire?
  • Sei innamorato?
  • Sì.
  • La trovi bella?
  • Certo! La guardo e il mio cuore si allarga, la testa mi evapora, il terreno fa le capriole.
  • E puoi fare diversamente? Puoi fare a meno di provare questa emozione quando posi gli occhi su di lei?
  • No, non posso. In nessun modo. Nemmeno in un milione di anni.
  • Allora posso dirti solo questo, figlio mio: buona fortuna.
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