Immagina questo

Immagina questo: sei a letto, in una stanza, al buio. È una stanza che conosci bene, ma non perfettamente. Il soggiorno della casa del mare. La stanza di un albergo dove vai tutti gli anni. Vedi tu.

Pensi di essere solo, nella stanza. Va tutto bene. È buio, vuoi dormire. Non sei distrutto dal sonno, ma vuoi dormire. Senti la tua coscienza che si dissolve nel tepore del letto, è piacevole, non troppo caldo, giusto. Presto dormirai.

Pensi di essere solo, nella stanza. Lo pensavi fino ad un minuto fa, ma adesso inizi a pensare che ci sia qualcun altro. È un pensiero irrazionale, saltato fuori senza motivo. E però riesce a scuoterti dal sonno. La tua coscienza torna a galla come una boa e diventi consapevole di tutto: il tessuto delle lenzuola ti sfrega i talloni, il tuo respiro fa rumore, stai serrando la mandibola.

C’è silenzio assoluto nella stanza, gli unici rumori che senti li produci tu. Il frusciare del tessuto. I tuoi borborigmi. Eppure.

Eppure pensi: c’è qualcuno. È impossibile, ovviamente. È un pensiero onirico, un relitto fantasma formato dalla tua coscienza che si stava addormentando. Non senti nulla. La stanza è chiusa, l’hai chiusa tu stesso. Non vuoi accendere la luce, non vuoi cedere al tarlo. Sei una persona razionale. Non vuoi perdere quel poco di tepore, di sonno, di stordimento. Ti volti, riposi.

Ecco che il sonno torna. Piano piano, avvolto tra le coperte, osservi il tuo stesso corpo che si addormenta. Il tuo cuore batte più lentamente. Le braccia si fanno pesanti. Il letto forma uno stampo che ti aderisce addosso, perfetto, materno.

C’è qualcuno nella stanza.

Ovviamente no, ovviamente è qualche parte di te che ti sta sabotando. Conservi dentro di te il seme del nemico, un angolo nascosto di ostilità autodistruttrice. Perché? Perché ti stai facendo questo? Non c’è nessuno. Non hai sentito nessun rumore. Non hai sentito nessun odore.

Ma certe cose si sentono prima, meglio. È una questione di istinti, lo sai. Il pensiero nascosto, spontaneo, irrazionale. Quello che fa dire a una madre: non mi piace il nuovo amico di mio figlio. Quello che fa dire ad un medico: meglio fare altri esami. Non lo sai spiegare. È un fatto scientifico. Il pensiero cosciente è una frazione della mente nella sua interezza.

Ma non ha senso, ovviamente. Un’altra persona qui, in questa stanza, non potrebbe davvero nascondere la sua presenza. Respira, come te. Dovrebbe essere un monaco, quieto, leggero, dovrebbe sincronizzare il suo diaframma al tuo, i suoi movimenti ai tuoi. Meglio ancora: essere immobile. Meglio ancora: respirare pochissimo, un’inspirazione, lenta, ogni qualche minuto. Un’espirazione, lentissima, solo quando sente che gli manca l’aria.

Ecco la paura. È arrivata, attesa, prevista, educata. Adesso hai paura ad accendere la luce. Sei perfettamente sveglio, rigido, bloccato, le mani lungo i fianchi, i palmi che sudano, le ascelle che sudano, i polpacci che sudano. Ti guardi con un certo distacco, con una certa curiosità. Sono sciocchezze, potresti allungare la mano in questo momento, senza sforzo, accendere la luce, controllare la stanza, uccidere il nemico dentro di te.

Ma non l’avresti ucciso, ovviamente. Tutto il contrario. Se accendi la luce riconosci che questo filamento della tua coscienza ha così tanto potere da non farti dormire, da terrorizzarti, da inchiodarti nel letto, a sudare. E alla fine sei costretto ad agire per metterlo a tacere. Fare delle cose. Non basta più parlargli. Non lo puoi convincere.

L’adrenalina ti dà chiarezza. Non è la prima volta che succede. Però succedeva tempo fa, tanto tempo fa. In una terra lontana lontana, eri un bambino spaventato. Inchiodato al letto, in lacrime, l’angolo più buio della stanza che nascondeva l’ignoto. Il mostro. I tuoi genitori accorrevano in tuo soccorso. Ti consolavano, ti rassicuravano. Fino a quando non sei diventato grande. Indipendente. Non hai più bisogno di noi, ce la fai da solo. Come allora. Adesso.

Adesso nella tua stanza c’è e non c’è qualcuno. Perfetta bisezione della tua mente, emisfero materiale, emisfero emotivo. Sei e non sei in controllo. Sei e non sei spaventato. Vuoi solo dormire, pensi agli impegni di domani, a derubricare l’intera faccenda. Vuoi solo scappare, sfuggire l’ignoto, essere protetto da qualcuno di più grande di te, qualcuno di più sicuro, di più forte.

Tra un momento allungherai la mano per accendere la luce. È un pareggio, una soluzione di compromesso. Non sei forte abbastanza, ma non cederai al terrore. Tra un momento allungherai la mano e pensi a qualcosa di deforme, una zampa coperta di scaglie, qualcosa di grosso e inumano che ti afferra. Ma ovviamente non succederà, ti ritroverai da solo nella stanza vuota, finalmente illuminata. Vuoi gettare il cuore oltre l’ostacolo, immaginarti dopo, quando ne ridi. Vuoi proteggerti, non esporti, stare rintanato. Non succederà niente. Sarà l’inizio dell’attacco.

Allunghi la mano, accendi la luce.

[Racconto pubblicato in precedenza su Typee]

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