Lettere da Malu Malu #5: l’istmo

GIORNO 3

Luminosissimo maestro,

posso finalmente annunciarvi che in questo terzo giorno di esplorazione abbiamo fatto  progressi. Io, poi, sono stato straordinariamente benedetto dagli eventi, e ciò che finora era stata un’oppressione si è rivelata essere, forse, un dono. Ma lasciate che vi racconti gli eventi con ordine.

Stamane di buonora abbiamo issato l’ancora e iniziato la circumnavigazione dell’isola. Se ricordate nella mia prima missiva raccontavo di come la nostra traiettoria marittima ci avesse portato a mancare l’isola, tanto che avvistammo Malu Malu a poppa, mentre già ce ne stavamo allontanando. Per amor di precisione vi aggiungo qui che abbiamo infine approcciato l’isola da nord-nord-est, ed è su quel versante che abbiamo trovato la caletta che ha visto svolgersi i fatti tragici degli ultimi due giorni. Il capitano Tirso ha quindi deciso di procedere verso babordo, ovvero di iniziare una circumnavigazione oraria –  se mai riuscirò a produrre una mappa di Malu Malu potrò forse anche tracciarvi questo nostro primo tragitto.

Abbiamo quindi percorso circa un quarto dell’isola, di cui vi posso fornire ora una descrizione più dettagliata. Intanto le dimensioni, che confermo, sebbene lievemente al ribasso: l’isola misura, per quanto posso stimare, una decina di leghe nel suo diametro. Se fosse una semplice pianura un uomo in buona salute potrebbe quindi attraversarla da capo a capo nel giro di un giorno – sebbene con una certa fatica. Le coste sono alte, e quasi sempre – con l’eccezione di cui vi parlerò a breve – inaccessibili. Dalla caravella si riesce a malapena a spiare il terreno sopra le scogliere, che pare ovunque coperto da una vegetazione dal grande vigore, e che mostra un verde che così di rado ho visto nella nostra terra: fremente oltre misura, comunica un senso di grande vitalità. Posando gli occhi su questo paesaggio risulta impossibile pensare che l’isola sia coperta da semplici alberi, e che si stia osservando una semplice foresta, anche se la natura precisa di questa diversità mi è forzatamente ignota.

Nel nostro periplo abbiamo quasi subito incontrato una cascata che dalla cima dell’alta costa si getta, poderosa, in mare, e dopo di essa ne abbiamo incontrate altre quattro. Sono state visioni di grande splendore e maestà: le particelle acquee formano una spuma che permane nell’aria e rifrange la luce in tutti i colori dell’arcobaleno. Le cascate sono inoltre molto rumorose, e sebbene ci si sia tenuti lontani da esse per non mettere in pericolo la caravella il fragore ci è giunto ben chiaro e ben violento. L’isola deve essere quindi molto ricca di acqua, e posso già ipotizzare la presenza di un qualche grande bacino che raccolga le piogge. È un’ottima notizia, perché sulla caravella l’acqua dolce iniziava a scarseggiare. Certo, la visione di tutta quell’acqua che andava a ricongiungersi al mare, irrimediabilmente perduta, mi ha colpito. Se non l’avessi visto con i miei occhi il ragionamento mi avrebbe fatto reputare impossibile che tali flussi possano essere permanenti, per quanto grande sia il bacino da cui traggono fonte. Non posso quindi che ammettere la mia ignoranza su questi temi. L’isola è ricca d’acqua, così tanto da potersi permettere di gettarne fiumi interi a mare e rimanere comunque verde e rigogliosa come nessun luogo in patria.

L’esplorazione ci ha poi portato a incontrare un elemento che ha finalmente rotto la monotonia dell’impenetrabile costa. Si tratta di un braccio di terra e rocce che si estende per una o due leghe dal corpo principale dell’isola in direzione sud-est. È molto più basso della costa, tanto che subito abbiamo pensato alla possibilità di uno sbarco: vorremo e dovremo iniziare a stabilire una nostro piccolo insediamento, questo è chiaro a tutti. Questa protuberanza ha la particolarità di essere completamente priva della vegetazione sovrabbondante che copre il corpo principale dell’isola. È fatta della stessa roccia purpurea, ma è appunto glabra. Non priva di vita, badate. Vi abbiamo trovato le solite colonie di granchi e uccelli marini che ci si attende a queste latitudini. In più – vi anticipo qui, per chiarezza, ciò che abbiamo scoperto durante la ricognizione pomeridiana – la superficie intera di questo istmo è costeggiata da una grande quantità di conchiglie, coralli e alghe rinsecchite, tanto da farla assomigliare ad un fondale marino. A tutta prima c’è chi ha suggerito fosse colpa delle maree, e che con l’alzarsi del livello dell’acqua questo istmo finisse regolarmente sommerso. Ma è impossibile: le maree non hanno una tale intensità a queste latitudini. Temo purtroppo di non avere una spiegazione convincente. Che sia forse un intervento dei nativi? Le concrezioni non sembravano artificiali, ma a questo punto ogni ipotesi va valutata.

I nativi. Dopo l’incontro dell’altra notte non abbiamo visto, come si suol dire, anima viva. In verità molte volte durante la navigazione qualche marinaio di vedetta ha annunciato di aver visto dei movimenti, in alto, tra gli alberi, e il marinaio Monzago giura di aver scorto dei volti bianchissimi che ci osservavano. Non voglio scartare come ciance queste voci, ma dopo l’assalto dell’altra notte siamo tutti estremamente suscettibili. Se vi erano nativi nascosti – e può ben essere – hanno deciso di rimanere tali, e non posso dire che mi dispiaccia.

Come anticipato prima, nel pomeriggio abbiamo guadagnato la costa. Dopo aver circumnavigato l’istmo abbiamo scoperto che sul lato sud esso presenta una grande insenatura, ideale per uno sbarco. Sono anzi stupefatto che Lumaccio e Perdigote non ne abbiano fatto cenno nei loro racconti, perché le loro imbarcazioni avevano certamente necessità di luoghi riparati dalle correnti dove poter attraccare. Il capitano Tirso, berciando e bestemmiando, ha portato la nave in prossimità della costa, e gli uomini si sono subito messi all’opera. So che, se avremo accesso al legname dell’isola, il capitano vorrà avviare la costruzione di un piccolo molo. Ma, così stanti le cose, ci siamo accontentati della scialuppa. A turni, finalmente, siamo sbarcati

L’istmo, di cui vi anticipavo qualcosa più sopra, si è rivelato in tutta la sua scarsa ospitalità. È un terreno glabro, sassoso, pieno di spigoli vivi. E però non è né più né meno di tante altre isole visitate in passato, a parte il porpora intenso delle rocce. Vi abbiamo trovato i resti marini di cui ho già detto, e dopo una piccola esplorazione abbiamo trovato una radura sgombra abbastanza e piana abbastanza da ospitare un nostro insediamento. Le ultime ore del pomeriggio sono quindi passate nello scaricare provviste, paleria e, su mia insistenza, una delle due piccole bombarde che costituiscono il magro arsenale della caravella. Non credo che vi sarà occasione di cannoneggiare, ma è importante che la ciurma consideri il campo base come un luogo sicuro e difendibile. Abbiamo posizionato la bocca di fuoco su un rialzo e l’abbiamo puntata verso il corpo principale dell’isola, così che non vi sia modo per i nativi di assalirci via terra senza esporsi al fuoco. A lavoro terminato tutti quanti ci siamo sentiti più sicuri, protetti dal ferro.

Dopo che il campo è stato montato io, maestro Filippo, capitano Tirso e il suo secondo Moliabre abbiamo tenuto un piccolo concilio per decidere il da farsi per i prossimi giorni, ed è qui che è avvenuto il fatto di cui vi dicevo in apertura: un’oppressione si è trasformata in dono. Come ben ricorderete maestro Filippo è stato decisamente chiuso durante tutto il viaggio, ed io – che sarei dovuto essere il suo assistente – mi sono ritrovato molto più spesso a condividere la compagnia dei marinai piuttosto che quella dell’unico praticante dell’Arte presente a bordo. La scontrosità di maestro Filippo si è fatta viva anche in questo frangente, ed egli ha messo bene in chiaro di non voler prendere parte a queste prime operazioni organizzative, a sua opinione triviali e per nulla interessanti. Maestro Filippo ha quindi comunicato al capitano Tirso che mi delegava tutte le responsabilità relative all’allestimento del campo sull’istmo, mentre egli resterà sulla nave e prenderà parte, nei prossimi giorni, al completamento della circumnavigazione dell’isola.

Moliabre, il secondo del capitano, non ha preso bene questa mia investitura. Non so per quale contorsione di suoi pensieri, ma ho l’impressione che egli mi percepisca come una minaccia, come se fossimo entrambi in competizione per un qualche tipo di premio. Temo che dovrò stare attento alle sue mosse nei prossimi giorni. In questo frangente però la sua animosità nei miei confronti si è rivelata provvidenziale. Egli infatti ha fatto un commento sprezzante su come fosse in fondo giusto che io venissi messo in posizione di comando di un accampamento temporaneo, e destinato ad essere smontato non appena noi si fosse trovato qualcosa di meglio. Ragionava, Moliabre, sul fatto che anche dall’istmo fosse impossibile scalare le alte coste di Malu Malu. Ed è qui che è intervenuto maestro Filippo, più per difesa corporativa che per affezione nei miei confronti. Egli ha dichiarato che io, sebbene ancora uno studente dell’Arte, sono perfettamente in grado di compiere questo e altri compiti, ben più prodigiosi. Sotto lo sguardo incuriosito del capitano – e quello decisamente più ostile del secondo – maestro Filippo ha annunciato che il giorno dopo (ovvero domani!) io darò prova davanti alla ciurma del valore di un adepto dell’Arte, e scalerò la costa, così da stabilire un primo contatto con l’isola vera e propria.

Dei quattro presenti forse il più stupefatto ero io, anche perché ho ben chiare le implicazioni, che agli altri restano forzatamente nascoste: maestro Filippo ha quindi intenzione di cedermi – sebbene per il brevissimo tempo necessario a compiere l’azione – una parte dei suoi tesori. Domani dovrò Comandare.

La notizia si è immediatamente sparsa nella ciurma, e noto che gli uomini già mi guardano con occhi diversi. Mi pare di scorgervi ammirazione, ma anche invidia, e comunque un rinnovato senso di distacco. Domani, davanti ai loro occhi, smetterò di essere uno di loro. Il cameratismo costruito durante queste settimane di navigazione sta per evaporare. Ma ne sarà valsa la pena, ne sono certo.

Servo vostro,

L.


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