Malu Malu extra: questo cuore io trafiggerò

L’isola, la stramaledetta isola. L’isola mi guarda e sogghigna. Ce l’ha con me, lo vedo, lo sento. Dice il mio nome nel vento, nelle onde, nel frusciare dei rami delle sue piante contorte. Filippo! Filippo! Filippo, Filippo Fintemonti, Maestro Filippo, signore dell’Arte, Alto Domatore di Spiriti, uomo di potere, tu che sei stato elevato e poi decaduto e ancora calchi questo mondo, Filippo! Vieni! Vieni e sfidami! Usa la tua arte su di me, devastami, distruggimi, dimostra la tua forza, dimostra il tuo odio! Filippo!

Ecco cosa mi dice, ogni giorno, ogni notte, ancora e ancora e ancora, da mesi. Questo mi dice l’isola, e altro dice, altro che non scrivo. Mi parla da tempo, da prima di partire, da prima che sentissi pronunciate per la prima volta queste parole barbare: Malu Malu. L’isola mi chiama.

Come mi sono ritrovato qui? Cosa mi sta attirando? Quale spirito pronuncia questi richiami inconoscibili? Come mi conosce? Come sa ferirmi? Perché?

Scrivo queste righe per fare chiarezza a me stesso e per null’altro motivo. Sono anzi determinato a distruggerle, un giorno, quando tutto sarà concluso, ma ora sento che scrivere mi aiuta, debbo mettere ordine tra i pensieri. Ecco: Lucidità. Dei tre precetti dell’Arte questo è quello che più mi manca, ora, perché la vicinanza dell’isola è un assalto disumano, sovrumano, e sento che a tratti la mia ragione cede. Sono nervoso. Sudo. Mi sono chiuso in una rigida quarantena che mi permette di nascondere il mio turbamento agli occhi della ciurma e del mio assistente, ma non è una soluzione. Devo calmare il mio cuore. Devo respingere l’assalto. Fermezza, Lucidità, Orgoglio. Solo l’ultimo non mi manca, ora.

È per Orgoglio che ho promesso, oggi, davanti al capitano e al suo secondo, che domani Limomberto scalerà la scogliera? È per questo? È solo per questo? È una buona idea, certo. E stabilirà un punto fermo. E la dovremo scalare, la maledetta scogliera. E solo noi dell’Arte possiamo farlo. Certo, tutto giusto, tutto chiaro. Ma c’è dell’altro. Guardo dentro di me e trovo altro. Trovo paura.

La stramaledetta isola mi chiama e io non so perché. Prima di partire, prima di sapere a cosa mi sarei trovato davanti pensavo che sarei stato in grado di dominare qualunque mostruosità il destino mi avrebbe sbattuto addosso. Ero forte. Sono forte. Eppure, qui, ora, davanti all’imponenza di questo macigno colorato, ora sento venire meno la mia certezza. La mia Fermezza.

Domani manderò Limomberto in avanscoperta. Io me ne starò qui, nella mia cuccetta, nella mia nave, al sicuro, lontano da quell’istmo di terra che l’isola ha fatto emergere dagli abissi per noi, e che con altrettanta facilità potrebbe sommergere. È giusto.

È giusto?

L’isola mi chiama e mi ferisce con le sue parole, con il suo sapere di me, della mia strada, del mio passato. Mi dice cose che ho terrore di riportare, anche su carta, anche solo per i miei occhi. Mi fa provare un dolore insospettabile, invoca qualcosa di passato e sepolto. L’isola mi chiama e mi sfida e mi deride. Ecco, l’ho scritto. Sento che si prende gioco di me, che celia la mia sapienza, forse anche la mia Arte. Inammissibile.

L’isola mi ha sfidato? Benissimo. La distruggerò. Domani Limomberto farà il primo passo. Aprirà il sentiero verso il cuore dell’isola e poi, al momento opportuno, questo cuore io trafiggerò.

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