Il golem

Fausto è magro, brufoloso, odora di selvatico. Da adulto finirebbe nella categoria: viscidini. Per sua fortuna è ancora adolescente, anzi, poco più che bambino. Un po’ goffo, è vero, e andrebbe migliorata l’igiene, è vero, ma ci siamo passati tutti, è un periodo difficile. Indossa una magliettona e si è pettinato poco e male. Esce da casa di sua madre, arriva sul marciapiede, poi si ricorda di non aver chiuso la porta di casa, torna indietro, fa quel che deve fare, è di nuovo in strada. Sta fermo ad aspettare l’autobus. Si controlla le unghie, sovrappensiero. Gratta via un po’ di sangue.

La sede de L’Informatore Nazionale (codice: IN) è su tre piani, lungo fiume. Certi rottami sopravvivono perché l’entropia non è un rullo compressore: a volte ti puoi rintanare in una crepa e non venire spazzato via, forse. La testata giornalistica sarebbe dovuta chiudere negli anni Sessanta, quando tutti i concorrenti si stavano attrezzando con sedi distribuite sul territorio nazionale, mentre la linea di IN è rimasta inamovibile: una sola sede, centrale, e si mandano gli inviati sul posto, quando serve. IN avrebbe dovuto chiudere negli anni Settanta, quando tutti si stavano politicizzando e chiunque non avesse una sponda in parlamento navigava in brutte acque. E invece è sopravvissuto, uguale a se stesso, molto mediocre. Oggi, quattro Aprile 1987, tutte le altre testate stanno cavalcando l’onda dei supplementi, si costituiscono redazioni parallele, si staccano costole, si patina, soprattutto si patina. Invece IN resta immacolato nella sua tradizione: quarantadue pagine, interno, estero, cronaca, sport, qualche cruciverba, qualche rubrica tematica. La domenica, una pagina per i bambini. Le vendite non salgono e non scendono, sia benedetto lo zoccolo duro.

Sergio Zetticci, il direttore, adora le barche. Sogna il mare, il salmastro nei polmoni, le mani consumate dal maneggiare corde, stracci, timoni. Sa tutto di: navigazione, vele, correnti. E anche di: fregate, galeoni, battaglie. Non sale su un natante da dodici anni.

[Analisi superficiale] è colpa della moglie, che lo tiene ancorato (ah!) alla realtà, lui nella vita fa il direttore di giornale, mica il mozzo. Quello è stato, in retrospettiva, un passo falso. Confessare che, quando pensa alle barche, non si vede come capitano di un veliero, ma come l’ultimo dei marinai, in una vita leggera e spensierata, a prendere ordini mentre attraversa il blu. La moglie l’ha deriso e, pur senza capirlo, ne ha tratto un messaggio preciso: se proprio vuoi prendere ordini, fa quello che dico io. Come prima cosa tutte ‘sti minchia di modellini di barchette vanno via. Portale in ufficio o dalle agli orfani o buttale che non ne posso più.

[Analisi approfondita] Sergio soffre di mal di mare. Ah, se solo potessi navigare, dice. Ma non è vero. Vomiterebbe sempre. Ci ha provato, riprovato, e poi ha smesso. Dare la colpa alla moglie è comodo. E prendere ordini non è male: ci si rilassa. E poi lui tiene già il timone (ah!) tutto il giorno, tutti i giorni. Dirige un ottimo giornale, dall’onorabile reputazione e scevro di scandali – per quanto umile in termini di qualità degli articoli, tiratura, vendite. Non tutte le barche sono fatte per l’oceano, e Sergio Zetticci sa anche questo.

Fausto entra nell’ufficio del direttore accompagnato dall’usciere tuttofare Perplesso Perplessoni (codice: PP). PP dice chiaro e tondo che non sa come trattare ‘sto regazzì, che signor direttore ha proprio da occuparsene lei, che io ho anche provato a cercare in archivio e mah, non so che dirle. Esce di scena, perplesso. Direttore e regazzì si presentano, stringono la mano.

“Prego, prego, siediti e dimmi tutto.”

“Belle barche.”

Sergio gonfia il petto come una vela. “Hai occhio vedo. Questo è un veliero francese, il Soleil Royal, costruito nel 1670. Gran pezzo, scala uno a duecento. Ha avuto sfortuna, è stata affondata nella battaglia di La Hougue con un brulotto. Vedi, un tempo le navi erano di legno e un modo per affrondare quelle pesantemente armate – guarda quante bocche di fuoco, centoquattro in totale – era… Ma scusa, forse non ti interessa.”

“Un brulotto è un piccolo natante, carico di combustibile o materiale esplosivo, mandato a schiantarsi contro la flotta nemica. Lo so. Leggo ‘Onde ondivaghe’.”

“La mia rubrica!”

Non era mai successo, in tredici anni di onorata carriera, che qualcuno dichiarasse un interesse anche solo marginale per la sua rubrichetta su mare e affini. Sergio l’aveva sempre considerata un piacere personale, qualcosa che si concedeva senza troppi sensi di colpa, e che gli altri si arrangiassero. Che pensasse invece a scrivere di notizie, dice sua moglie, o dare quello spazio per la pubblicità. Ma c’è un limite a tutto. E poi sua moglie non è a bordo del giornale. Quando proprio serve taglia le altre rubriche, ma Onde ondivaghe no. Onde ondivaghe è importante. E poi, guarda qua! Un vero e proprio fan. Un appassionato di mare. Giovane, si capisce, e talentuoso. Molto talentuoso. Adesso bisogna agire con professionalità, non sbracare.

“Posso mostrarti tutta la mia collezione di ventuno velieri sedici ammiraglie stampe d’epoca schemi tecnici campionari di velature e sartiame e-”

“Mi farebbe molto piacere, ma non posso, direttore. Devo rientrare per cena, sono con i mezzi.”

“Ah.”

“E sono qui per un altro motivo.”

“Ah.”

“Ma tornerò, stia tranquillo. Solo che oggi devo sbrigare questa una cosa.”

“Sì, sì, per carità. Anche io sono molto impegnato, sai. Devo dirigere, tutto il giorno. Capisco benissimo. Gli autobus sono lenti. Certo. Ma dimmi, ecco. Di cosa hai bisogno?”

“Cerco il dottor Staino.”

“E chi sarebbe?”

“È un giornalista, scrive per voi.”

“Uhm, dunque… Staino hai detto.”

“Sì. Staino. Franco Staino. Dottor Franco Staino.”

“E sei certo che -”

“Certissimo.”

“Ora, non vorrei fare la figura di un incapace, di uno che sta tutto il giorno nel suo ufficio a pensare alle barche e non segue il proprio giornale – che non è vero, eh, ma le male lingue, poi le sento io a casa, e sono dappertutto – e però, insomma, sei sicuro?”

“Sì. Guardi, è importante.”

“Sì, sì, immagino. Staino… il nome mi ricorda come qualcosa… Ma cos’è che scrive?”

“Ha una rubrica nell’inserto domenicale, quello per i ragazzi. ‘Mostri dal mondo’.”

“Aaaaaaaah! Quel Franco Staino! Ecco perché non mi diceva niente. Cioè, mi diceva e non mi diceva. Sì, sì, ho capito. Vieni, vieni con me. Dovevo giusto prendermi una pausa. Andiamo, andiamo a conoscerlo. Franco Staino!”

Callimaco Castiglione, di norma, abbaglia. È una questione di chimica, fisica, e prossemica. La chimica è quella della sua cute: lucida, appena contornata da una coroncina di capelli, omogenea nella sua perfezione, perfetta nella sua specchiosità. La fisica è quella della sua bassezza e dell’ovoidalità del cranio. Callimaco è un ometto pelato, insomma, e la sua testa lucidissima riflette generosamente lampade alogene, tubi al neon e luci a incandescenza. Fargli una foto è un incubo, appare sempre circondato da un’aura quasi sovrannaturale e la faccia è sempre fuori fuoco. A chiudere il quadro, ci sono i suoi movimenti: un perenne gioco di gambe, uno scuotere il capo all’infinito, Callimaco dice sempre no, e poi sì, e non è che dica davvero qualcosa, ma insomma sembra dirlo. Se avete la sfortuna di stargli accanto sotto una qualunque fonte di illuminazione, prima o poi vi accecherà. Dai e dai, troverà il punto di riflessione perfetta e bastonerà le vostre retine. Siete avvisati.

Per il resto è un ometto, moralmente e intellettualmente. Parcheggiato da anni alla stessa scrivania, scribacchia parole senza peso: la cronaca è locale e insipida, la politica è locale e insipida, i rari editoriali smussati e senza coraggio. La prevedibilità è una casetta di mattoni, rassicura, coccola e protegge. In tanti anni di servizio Callimaco non ha mai avuto problemi e non ha mai dato problemi. Poi un giorno se ne andrà – ma se stava così bene! – e i colleghi si accorgeranno imbarazzati di non sapere se avesse una famiglia o vivesse solo, se abbia lasciato qualcuno nella disperazione o se anche la sua morte, come la sua vita, si riveli in fondo una sinfonia di colori pastello un po’ slavati, qualche beige, molto di stinto.

Nella sua impossibiltà di prendere posizioni di petto, da alcuni anni Callimaco cura la rubrica nell’inserto per ragazzi, sotto lo pseudonimo del dottor Franco Staino. Bel gioco di parole, per una rubrica che parla di mostri. Non è farina del suo sacco, peraltro, gli è stata suggerita. Ma a lui non importa. Se c’è da scrivere della sagra del cocomero, scriverà della sagra del cocomero. Se c’è da fare una rassegna dei mostri attraverso le varie culture: latina, celtica, subsahariana, indiana, giapponese, russa, peruviana eccetera, Callimaco Castiglione farà la rassegna. Imperituro e dominato dalla stessa indistruttibile mediocrità.

“Eccolo qui, il tuo dottor Staino!”

Fausto e il direttore Zetticci arrivano alla scrivania di Callimaco mentre questi sta ritagliando dei trafiletti con delle forbici dalla punta arrotondata, per non rischiare.

“Questo, mio caro Callimaco, è un ospite d’onore. Appassionato di barche, conoscitore di ogni flutto, mi raccomando di trattarlo con grande rispetto.”

Callimaco si alza un po’ perplesso, abbaglia il direttore, stringe la mano a Fausto.

“Lei è il dottor Franco Staino?”

“Beh, un po’. È uno pseudonimo.”

Altro silenzio.

“Tu, uhm, tu lo sai cos’è uno pseudonimo, vero?”

“Certo che lo sa, come ti permetti!” interviene Zeticci “È questo il modo di trattare un ospite di…” ma poi qualcosa nello sguardo di Fausto “Tu… tu lo sai cos’è uno pseudonimo, vero?”

“Uno pseudonimo è un nome di fantasia con cui uno scrittore o un artista firmano le proprie opere.”

“Vedi! Vedi! Te l’avevo detto Callimaco, che è un ospite di riguardo. E piantala di accecarmi, con ‘sta pelata. Prendi delle sedie, dai, su, che ci sediamo tutti e facciamo una bella chiacchierata.”

Callimaco si allontana, Zeticci sottovoce “Che c’è? Sembri deluso.”

“Me lo immaginavo diverso.”

“Diverso?”

“Più… come dire… avventuroso, imponente, sapiente.”

“Ah! Sapiente!”

Callimaco torna trascinando due sedie con un po’ di fatica.

“Vieni qui, il mio sapientone. Il nostro Callimaco, qui, è una colonna del nostro giornale. Roccia solida. È con noi, da quanto Callimaco? Lascia, lascia, lo sappiamo. Da tanto. Tantissimo. Ben prima che io diventassi direttore, eh. Una roccia!”

E molla una generosa pacca sulla minuta figura del giornalista, che incassa a fatica.

“Certo, se ti aspettavi qualcuno di brillante sarai molto deluso. Qui di brillante troverai solo il suo cranio!”

Il direttore ride, Callimaco sorride e fa sì sì con la testa. Fausto non coglie.

“Peraltro, non ci hai detto ancora perché lo cercavi. Eccoti qui il tuo Franco Staino. Cosa vuoi da lui?”

Fausto chiude gli occhi e fa un sospiro, come per cominciare un lungo discorso.

“Lei mi conferma di essere Franco Staino? E che gli articoli della rubrica Mostri dal mondo li ha scritti lei?”

Sì sì con la testa, questa volta appropriato.

“Ho seguito le quarantasei istruzioni nascoste e ho costruito il golem. Si anima, ma non risponde ai comandi.”

Il silenzio che segue ha un nuovo, profondo significato: nessuno sta capendo. La vacuità degli occhi di Zeticci, la bovinità di quelli di Callimaco.

“Tu hai… cosa?”

“Dopo l’articolo del nove Febbraio dell’anno scorso, sul golem, ha iniziato a lasciare indizi segreti sulla ricetta per costruirne uno. Io li ho decodificati, e ho seguito le istruzioni. Non funzionano: la creatura si anima ma non fa ciò che gli dico. ”

“Io… io non so di cosa tu stia parlando.”

“L’ho fatto cinque volte e due mi sono anche scappati. Mi aiuti, la prego.”

“Il golem? Credo che ci sia un equivoco. Ricordo l’articolo, ma era solo una cosa di folklore, come tutti gli altri. È un mito ebraico, tutto qui.”

“Tre settimane prima aveva parlato del codice segreto delle mummie. I numeri del golem sono il 139 e il 16. Usandoli come chiave si estraggono certe righe da ogni articolo, per quarantasei settimane. Ho fatto ciò che ha detto lei. La prego. Uno dei golem ha strappato le orecchie al mio cane.”

“Fausto, caro, mi è venuto in mente che devo un momento parlare con il dottor Staino, qui, per una questione di articoli. Perché non ti prendi una lattina un momento, mentre noi discutiamo dì là? Vieni Callimaco, vieni con me.”

“Ci siamo dati all’esoterismo?!”

“Direttore, no.”

“Cos’è questa storia della ricetta nascosta dei codici degli ebrei?”

“Ne so quanto lei, giuro. Non ho idea di cosa stia dicendo il ragazzo.”

“Fausto.”

“Non ho idea di costa stia dicendo Fausto.”

“E come te lo spieghi? È un pazzo?”

“Non lo so, ma non è colpa mia.”

“E la storia delle cose che si animano?”

“Non lo so.”

“E i comandi?”

“Non lo so!”

“E le mummie.”

“Direttore!”

“Ah!” Zeticci sbuffa, corruga un po’. “Ma che peccato. Un’intelligenza sopraffina, appassionato di barche, e guarda dove va a incastrarsi.”

“Quindi io sono a posto, sì? Non pensa che c’entri qualcosa?”

“Ma sì, ma sì. Che poi, te a mettere dei messaggi cifrati nelle rubriche. No, no, che assurdità.”

“In effetti.”

“E allora deve essere un pazzo. È la televisione che fa male.”

“Dice che è pericoloso?”

“Ah. Non ci avevo pensato.”

“Devo chiamare la polizia?”

“Per dire cosa? C’è qui un bambino che ci parla di magie?”

“Ha detto qualcosa su un cane.”

“E può anche esserselo mangiato, il cane. Qui bisogna tenere il timone in rotta e non farsi prendere dal panico.”

“Giusto.”

“Giusto. Che facciamo?”

“È lei il direttore.”

“Sì ma non ho figli. Tu hai figli?”

“Ehm…”

“Non è questo il momento. Ma sei più vecchio di me, ce l’avrai un po’ d’esperienza.”

“Bisogna accompagnarlo fuori, con pacatezza.”

“Ma con fermezza.”

“Magari indorando la pillola.”

“Inventiamo una scusa.”

“Gli potremmo far fare un giro della sede.”

“Bravo! Genio! Portalo dabbasso, fagli vedere le rotative, poi un calcio nel sedere e torna qui che dobbiamo chiudere la pagina della cronaca.”

“Ma io? Perché io?”

“Hai ragione. Mandaci il dottor Staino.”

Fausto e Callimaco camminano tra i macchinari in movimento. Il giornalista parla dei passi necessari per trasformare uno enormi rotoli di carta bianca (ognuno di questi bambini produce ventimila copie!) ai giornali stampati che scorrono, appesi come panni, per essere infascettati e inscatolati (prima si facevano scatole da quaranta, adesso si fanno da trentacinque, non so perché). Fausto si guarda attorno nervoso, fa tanti passi piccoli e ravvicinati, non ascolta il giornalista, è assordato dal rumore delle rotative, stordito dall’odore di inchiostro. È stato un fallimento. La carta viaggia a quattordici metri al secondo. Eppure è tutto vero. Gli operatori estraggono periodicamente delle copie per controllare la qualità dell’inchiostratura. È possibile che sia qualcun altro, di nascosto, ad aver inserito i messaggi? Taglio, piegatura e fascicolazione avvengono in questo bolide di macchinario, ma francamente non ho mai capito come funzioni. È possibile che sia stato ingannato? Nel reparto spedizione le copie vengono inserite in questo macchinario chiamato stacker. Cosa devo fare adesso? Forse dovremo passare dalle lastre in piombo a quelle in alluminio, è un’innovazione tecnica, lo capisco, ma non so se mi convince. Come ne esco? Le scatole vengono caricate sui vari camion, e vanno a destinazione.

“Sarai stanco.”

“Un po’.”

“L’ultima cosa che dovrei mostrarti è il magazzino storico. È dove teniamo le varie copie passate, per motivi legali, e tutte le cose che servono di rado.”

“Interessante.”

“Già, immagino che non lo sia. Vieni, bisogna scendere di qua. Attenzione alle scale. Non viene molta gente qua sotto, come puoi immaginare.”

I due entrano in una cantina dal soffitto basso, ricolma di scatoloni. Senza preavviso Callimaco molla un ceffone a Fausto, forte abbastanza da fargli perdere l’equilibrio. Il ragazzo annaspa.

“La segretezza!” Callimaco ringhia sottovoce. “Idiota! Perché pensi che abbia fatto tutta questa manfrina dei codici? Solo per farti arrivare a blaterare tutto in faccia al mio capo?”

Fausto non si è del tutto ripreso dal colpo, strabuzza gli occhi. Callimaco ora sembra molto più… affilato?

“Se animi ma non controlli sei un pericolo per tutti. Adesso mi spieghi cosa hai fatto e vediamo di capire. E fai veloce, non possiamo stare tanto qui.”

“Io…”

“Tu sei in una brutta situazione: vedi di non fare incazzare il tuo unico appoggio. Hai detto che hai seguito le quarantasei istruzioni, ma i pezzi sul golem erano cinquanta. Te ne sei persi quattro. Quali?”

“Non… non lo so, ho seguito tutti i messaggi che ho trovato.”

“Dal sedici febbraio per cinquanta settimane.”

“Tranne quando saltava.”

“Non ho saltato nessuna settimana!”

“Una… vediamo… L’ultima l’ha saltata il 7 Dicembre. Me lo ricordo perché era la prima del mese. Sette Dicembre 1986. C’era la pagina dei piccoli, ma niente Mostri dal mondo.”

Callimaco scatta, ribalta scatoloni, apre un archivio, scorre furioso, quasi strappa una copia di IN, scorre le pagine e si ferma su quella centrale, molto colorata.

“Figlio di puttana!”

Al posto del suo trafiletto sul troll norvegesi dalla pagina per ragazzi lo occhieggia un inserto pubblicitario che incita all’acquisto di piccoli natanti.

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