La mattina del quattro febbraio 1911 il falegname Piotr Purishkevich entrò in bottega e capì subito che era successo un guaio. Fino ad un istante prima Piotr era di buon umore, gli affari andavano benissimo, e gli pareva che in tutta San Pietroburgo si respirasse un’aria di grande ottimismo. Quella mattina, prima di andare al lavoro, aveva anche fatto un salto alla cattedrale per una breve preghiera all’icona della madonna di Kazan’. Le cose andavano bene e bisognava essere grati.
Ad attenderlo in bottega c’erano i suoi due soci, Feodor Aleksandrovich e Yakov Pushkin. Feodor era nervoso, scuro in volto, macinava il pavimento. In mano aveva una sgorbia, che muoveva come un direttore d’orchestra, seguendo un qualche suo discorso silenzioso.
L’altro socio, l’anziano Yakov, stava appoggiato al tornio e fumava la pipa, pensieroso. Non indossava il grembiule e questo fugò subito ogni dubbio di Piotr: la situazione doveva essere molto grave. Piotr non l’aveva mai visto in bottega senza grembiule. Un uomo senza grembiule è un uomo che non lavora e Yakov era la quintessenza del lavoro. Un’icona anche lui, a modo suo.
Feodor lo apostrofò subito: «Eccoti, eccoti, Piotr. È successo un fatto gravissimo, siamo rovinati, rovinati!» Davanti allo sguardo disorientato del socio Feodor attraversò la bottega, afferrò un fascio di fogli, lo cacciò in mano a Piotr e ricominciò a camminare nervoso, ancora più cupo di prima. Piotr cercò con gli occhi Yakov, che però fumava immobile, lo sguardo perso davanti a se. Esaminò i fogli. Carta spessa, busta stemmata, Piotr la riconobbe subito: veniva sicuramente da corte. E fino a quel giorno ricevere una lettera da corte era sempre stata una buona notizia: commesse ben pagate, prestigio alla bottega, contatti con la nobiltà. Una nobiltà un po’ eccentrica, vero. Magari una nobiltà isolata, piena di privilegi, crudele con chi osava ribellarsi, ma restavano i clienti migliori. Iniziò a leggere. Prima fu disorientato, poi incredulo. Guardò i suoi soci, entrambi affranti, ciascuno a modo suo. Guardò il sigillo sulla busta, originale, senza dubbio. Guardò gli altri fogli, allegati alla commessa: disegni, schemi tecnici in sezione e in prospettiva. Una complicata, dettagliatissima fregatura.
Feodor era furioso: «Ma chi si credono di essere, questi? E hai visto il tono minaccioso? Com’è che dicevano? Dà qua.» Gli strappò di mano i fogli, scorrendo tra le pagine. «Ecco qua.» Lesse nella sua voce più pomposa. «Non ci sfugge la difficoltà delle richieste, ma confidiamo che la vostra maestria, che mai ci ha deluso, non fallirà neanche in questo caso, il fallimento essendo un’eventualità spiacevole per tutti.» Sbatté i fogli sul tavolo e ricominciò a camminare nervosamente per la bottega.
Piotr si grattò la testa, perplesso. «Qua c’è qualcosa sotto, qualcuno ci vuole mettere nei guai.» Feodor si illuminò: «Ecco! Brassevich! Se c’è qualcuno invidioso dei nostri affari è lui! Hai ragione caro Piotr, deve essere così, non si spiega altrimenti. Una cornice di legno vivo, uno specchio che non abbia mai riflesso nessuno, quell’altra scatola che si può chiudere solo da dentro e tutte quelle altre scelleraggini loro compagne. No, deve essere così. Anzi» si avviò alla porta «vado subito alla sua bottega e risolviamo la questione!» Ma Piotr gli si parò davanti: «Feodor, calmati. Ragioniamo. Se adesso tu vai e spacchi la testa a Brassevic siamo comunque in un bel guaio. È una trappola. Benissimo. Dobbiamo capire come schivarla. Poi ci sarà da vendicarsi, certo. Dopo. Adesso dobbiamo pensare.»
Un’ora dopo. Piotr si era tolto il cappotto e aveva indossato il grembiule. Stava al banco, i fogli allineati davanti a sé. Feodor camminava ancora, ma con minor urgenza. Solo Yakov era rimasto dov’era all’inizio.
«Dunque» iniziò Piotr, titubante «non possiamo dire di non aver ricevuto la lettera, e non possiamo rifiutare la commessa.» Intervenne Feodor: «Ma non possiamo certo eseguirla, è una roba da fiabe, da spiriti del bosco.» Yakov fece schioccare la lingua, gli altri lo guardarono. Ma non aggiunse niente, e allora Piotr proseguì: «Potremmo chiedere una cifra esagerata. Potremmo chiedere tanti di quei soldi per la commessa che neanche lo zar ci potrebbe pagare.»
«No.» Era stato Yakov a parlare. Era la prima volta che apriva bocca quella mattina. «Accetteremo la commessa per un prezzo onesto.» Feodor lo guardò come si guarda un animale parlante. «Yakov, amico, maestro, padre, ti è dato di volta il cervello?» Per tutta risposta Yakov fece di nuovo schioccare la lingua e tornò alla sua pipa. Feodor gettò le braccia al cielo, disperato. «Piotr, aiutami, dimmi che ci capisci qualcosa, almeno tu, perché io, voglio essere onesto, io sto per impazzire.»
Piotr si grattò la nuca e si prese un momento prima di rispondere. «Forse. Forse sì, forse ci capisco.» Guardò in tralice Yakov. «Vediamo. Se chiediamo un prezzo esagerato, se chiediamo, che so, metà del tesoro dell’impero, possono succedere due cose.» Mise fuori due dita, come per contare. «Possono rifiutarlo, e allora abbiamo schivato il colpo, ma non abbiamo scoperto niente, e la prossima volta magari siamo meno fortunati. La prossima volta magari ci fregano davvero.» Via un dito, contò sull’altro. «Oppure possono accettarlo, e allora vuoi mettere il clamore, lo scandalo? Non si parlerebbe d’altro in tutta San Pietroburgo, avremmo addosso gli occhi di tutti. E in nessun caso ci salveremmo. Falliamo, e le penali ci rovinano, oltre ad averci rimesso la faccia e chissà quale altra punizione. Ma metti anche che facessimo quello che ci chiedono – che è impossibile – comunque non ce lo danno, metà del tesoro. È più facile che ci prendiamo un colpo di fucile. Come vado, Yakov?» Il vecchio rispose sbuffando fumo, gli occhi che scintillavano. Piotr proseguì: «Se invece chiediamo una commessa normale succedono cose diverse. Tutto è più quieto. Intanto guadagniamo tempo. Possiamo tirarla in lungo per mesi, magari per anni, e con poco clamore. Feodor, tu dici sempre che vuoi visitare l’Europa. Ecco, magari ti mandiamo in Germania, o in Italia, e magari trovi qualcosa. Dei trucchi. Delle innovazioni. Qualcosa. Magari qualcosa consegniamo. E intanto capiamo chi ci vuole male. Intanto troviamo i nostri nemici. E quando li abbiamo trovati…» Lasciò cadere la frase. Feodor già sogghignava. «Yakov, che dici? Ce la facciamo?» L’anziano si limitò a sbuffare il fumo della sua pipa, sorridendo.