Primo Levi – Vizio di forma

Seconda raccolta di Levi che leggo, dopo Storie naturali: la differenza c’è e si sente tutta. Non so bene cosa sia successo a Levi nei cinque anni che separano le due raccolte (Storie naturali è del ’66, Vizio di forma è del ’71) però si è fatto tutto più scuro, più opprimente, più pessimismo cosmico.

Se scrolli con gli occhi fuori fuoco sulla scacchiera in copertina ti va un po’ a male la vista

In Storie naturali c’era, tendenzialmente, una critica all’uomo. Una critica ragionata, di testa, che ci dice che l’uomo ha dei difetti e che questi difetti presentano il conto. Per lo più però era un conto privato, gente che fa cazzate, non sa dove fermarsi e si rovina. Qui l’afflato è più generale. Non è più l’uomo ma è la società, o anche proprio il mondo, ad essere difettoso. Non si sfugge, le cose andranno male, mettetevi il cuore in pace.

Faccio un esempio, che è anche uno spoiler, che dovete portare pazienza. Il racconto che chiude la raccolta, “Ottima è l’acqua”, racconta di come d’improvviso l’acqua inizi a diventare più viscosa. Più densa. Inizia nel piccolo, che se ne accorgono solo in un laboratorio di chimica, e in una zona specifica dell’Italia del Nord. Poi mano a mano tanti fiumi ne sono coinvolti, il Po, le piogge su tutta Europa, gli oceani. Presto tutta l’acqua del mondo è densa e vischiosa come sapone liquido. Muoiono quasi tutti gli alberi, che non riescono più a pompare la linfa, cambia l’agricoltura, e l’umanità ha una speranza di vita d’improvviso più corta: a quarant’anni o giù di lì il cuore ti scoppia, per la fatica extra di pompare questa melassa per le vene. Fine. Non c’è tentativo di riportare la situazione allo stato precedente, non c’è speranza di salvezza. A malapena un po’ di comprensione scientifica del fenomeno, ma è chiaro che sia troppo tardi.

Cosa ne facciamo di un racconto così? Cosa portiamo a casa?

Portiamo a casa un po’ d’angoscia, un po’ di senso di impotenza, facciamo un facile parallelismo col cambiamento climatico e bon. Ci compriamo del cioccolato per tirarci su di morale. E però Levi queste cose ce le aveva in testa, o in pancia, e secondo me non gli bastava un’intera tavoletta di cioccolato.

Restano racconti intelligenti, strani, a tratti visionari. In “A fin di bene” si parla di intelligenza artificiale come tratto emergente, che se seguite un minimo l’attuale dibattito sul tema capite subito quanto sia sul pezzo. In “In fronte scritto” si parla di un fatto successo davvero, solo che è successo trent’anni dopo che Levi ne ha scritto. Poi c’è anche una roba alla David Lynch (“Psicofante” e “Vilmy”) e un unico tentativo di fare ancora l’allegrone (“Il fabbro di se stesso”, che è dedicato a Italo Calvino e potrebbe rientrare serenamente tra Le cosmicomiche).

Solite cose social:

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