Il custode dell’eremita #10: l’eremita, per davvero

Dunque, io l’eremita l’avevo già incontrato la notte prima, che mi aveva svegliato con i suoi rumori quando mi stava saccheggiando le provviste. E però nel buio, con la poca luce delle braci, non l’avevo visto bene, mi era parso una bestia, un diavolo cornuto, e mi ero preso anche una bella paura.

Adesso esce dal bosco e c’è chiaro e lo guardo bene, e non so se avere più paura o meno. Giudicate voi. Allora, intanto non ci sono dubbi che l’eremita è un cristiano e non un qualche mostro, questo è certo. È un uomo e sta sempre nudo, ed è magro e già avanti con gli anni, che ha i peli del petto e, insomma, gli altri peli dabbasso, già un po’ bianchi. Ma non è mai proprio tutto nudo: sulle spalle quasi sempre porta il suo mantello, che è un affare pulcioso che ho provato a buttargli via ma che lui si è sempre opposto, e che alla fine mi sono deciso almeno a lavarglielo. È un cencio fatto di pellicce cucite tra loro, tutte diverse e spelacchiate. Pelo di coniglio, e scoiattolo, e se devo dirla tutta mi sa anche di qualche topo, con ancora le teste e le zampe, che magari vi immaginate una roba da signore ma è proprio malmesso.

Il mantello se lo tiene sulle spalle e se non si avvolge bene fa vedere un po’ tutto, davanti. Anche troppo, se devo essere sincero. L’eremita ha le ginocchia sporgenti e le gambe magre, e i piedi sempre infangati come certi animali al pascolo. Sul corpo è pieno di graffi e di cicatrici, che con la vita che fa è normale, che non so come riesce a tornare sempre insanguinato e a non riempirsi di cancrena.

Di faccia non è un uomo brutto, e ha degli occhi profondi, questo sì. Tiene i capelli lunghi, e sporchi, e annodati, e in testa ha sempre qualche rametto e qualche foglia. Quando ho provato a fargli il bagno lui non ha protestato, ma ho passato una giornata intera a districargli la chioma e il giorno dopo era di nuovo pieno di terra e, per farmi dispetto, anche una pigna. Per cui ho deciso che non ne valesse la pena, a gestirla.

La barba era uguale, che all’inizio poteva farci il nido un passero. Quella almeno poi gliela ho messa a posto, un po’ tagliata e un po’ pettinata. Ma dopo, quello, che sto saltando le tappe, scusate. Quel giorno anche la barba era selvatica, come il vello di un caprone.

La cosa più strana di tutte però non ve l’ho ancora detta: in testa teneva uno strano cappello con le corna. E lì ho capito perché la notte prima avevo pensato di aver ricevuto la visita di un diavolo: è un copricapo strano, di cuoio e di legno, con sopra legate delle corna di cervo, larghe e fronzute, e di montone, ritorte e nere, più anche qualche altro animale che non saprei dire. Sono tante, e però hanno una loro armonia. È difficile da spiegare: l’eremita, con quel robo in testa, sembrava completo. Quelle poche poche volte che l’ho visto senza, lì sì che mi è sembrato nudo per davvero.

Comunque, l’eremita nudo esce dal bosco e io lo vedo – che non sapevo ancora che era lui, ma insomma una mezza idea iniziavo ad avercela – e gli faccio un gesto con la mano e con il bastone che avevo, per dire: oh, sono qui.

Lui si volta verso di me e mi fa una faccia ben strana. È come un sorriso, ma troppo. Lo sapete eccellenza che quando uno sorride gli angoli della bocca ci vanno in su. Ecco, lui ha fatto questa faccia, che scopriva i denti, e sembrava anche sorridesse, ma gli angoli della bocca andavano solo in fuori, quello di destra a destra, quello di sinistra a sinistra. Non andavano su. E mi mostrava i denti e intanto faceva avanti e indietro con la mascella, come se stesse masticando qualcosa.

L’eremita mi guarda un momento e fa questa faccia tirata, poi cammina verso il lupo. Cammina proprio, senza fretta, come uno si avvicina a un cane di cascina. M’è venuta in mente quella storia del gran santo Francesco, che ha liberato Gubbio. La conoscete meglio di me, vostra eccellenza, io la so solo perché padre Moffati me l’ha raccontata e queste storie mi restano in mente, non so bene perché, ma quando devo imparare le declinazioni del latino o gli spiriti del greco mi si spacca la testa e non c’è verso di farmele imparare, ma invece le storie, le storie mi piacciono molto, e quelle sì che me le ricordo. E ho pensato a questa del lupo di Gubbio. Nella storia san Francesco addomestica il lupo, lo sapete, e gli fa il segno della croce sulla bocca, e il lupo si pente del gran male che ha fatto e diventa buono. Ed è una bella storia, e commovente, ho pensato che doveva essere proprio successo questo: l’eremita, chissà in quanti anni, aveva fatto amicizia con il lupo, l’aveva addomesticato, come il gran santo Francesco.

L’eremita si avvicina al lupo e comincia a mandargli i bacini come si fa con i gatti, e a fare dei versi, a dire “cià, cià”, come con i cuccioli, e intanto si avvicina e il lupo lo guarda con le orecchie basse e la coda dritta e ferma, tutto teso, e l’eremita fa ancora un passo e si china e dice “oh cagnolino, oi cucciolo”, lo sento proprio che dice così, e io penso che deve essere proprio un gran santo, che sta nel bosco e ha aver imparato la lingua degli animali, e forse davvero gli angeli gli parlano.

Poi il lupo lo attacca.

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