Il custode dell’eremita #9: il lupo

Era la prima volta che lo vedevo da così vicino, un lupo. Uno vivo, dico, che il vescovo Mistragni ne aveva due impagliati che sembrava facevano la lotta, ci avevano l’occhio di vetro e i denti gialli, all’infuori, che una volta ho provato a toccarli e –

Sì vostra eccellenza, scusi. Il lupo. Il lupo era davanti a me ed era una bestia grossa, e aveva il pelo grigio e marrone, e folto, ed era anche bello, una creatura forte e maestosa, che c’era anche da guardarlo ammirati, se non fosse che voleva mangiarmi.

Io adesso lo so, cosa dovevo fare, che poi erano due cose possibili: potevo stare fermo e aspettare che se ne andava, e magari se ne andava davvero. Oppure potevo mostrare coraggio – e ce ne voleva, di coraggio – e gridare e fare dei passi verso di lui, come per caricarlo, e magari prendere uno dei legni dal fuoco, che agli animali ci fa paura, e se facevo così di sicuro scappava, di sicuro pensava che non ero una di quelle cose docili e spaventate che lui si mangia di solito. Le lepri non attaccano, i daini non attaccano.

E però dovete capire una cosa, vostra eccellenza, anche se forse l’avete già capita da voi, e forse ve l’ho anche già detta: io non sono un avventuriero. Quel coraggio lì, quella temerarietà, quella mattina io non ce l’avevo. E poi è il lupo, stiamo parlando del lupo: quello delle favole di Esopo, quello che sbrana per cattiveria, quello che si porta via le pecore. Cioè, non so se riesco a farvi capire: la bestia mi ha guardato da sotto in su, ha buttato fuori l’aria dal gran nasone e ha fatto la nuvola, che faceva ancora freschino, e io, non potendo fare altro, sono scappato. Ho fatto esattamente come la lepre e come il daino, mi sono voltato e ho iniziato a correre e lui si capisce che non aspettava altro e mi è venuto dietro. Avrà pensato: questo scappa, tocca rincorrerlo. Avrà pensato: me lo mangio.

Ora, adesso che ne parliamo, io lo so cosa dovevo fare. Cioè, se proprio dovevo scappare – che non è una buona idea – almeno la cosa giusta era rientrare nella torre. Mi chiudevo la porta dietro, la bloccavo come avevo fatto la notte prima, e chi s’è visto s’è visto. Che il lupo mica ce le ha le mani, per aprire la porta. E però avevo il cuore che scoppiava di paura, devo anche aver cacciato un urlo, e non ho proprio deciso dove andare: mi son voltato e ho iniziato a correre un po’ a caso.

Vi ricordate cosa vi ho detto della torre? Che quando sono arrivato ho visto la torre, sì, ma che di fianco c’era un’altra casetta bassa, un rudere, che quando la torre era crollata da un lato se l’è tirata giù, e adesso questa casetta era piena di erbe e di cardi selvatici. Ecco, sono finito lì.

Non è stato un bell’andare, tra le piante piene di spine e le macerie e qualche asse rotta e marcia che ancora spuntava, e il lupo dietro. Non è stato un bell’andare. E però il lupo ha il pelo che lo protegge e quattro zampe che lo tengono in piedi, e io non avevo né pelo né zampe e in un momento mi son ritrovato tutto graffiato e ammaccato, a inciampare e tirarmi su, e davvero ho pensato che forse era il momento di dire le preghiere, che stavo per rendere l’anima al Signore, e che avrei fatto proprio una fine indecorosa per un Lorpio, mangiato da una bestia dei boschi come succede ai barbari e agli incivili.

Faccio un po’ di strada in questa catasta, arrivo a metà, diciamo, e sento che mi prende un piede e tira e io, per forza, finisco a terra, a faccia in giù. Qui devo ringraziare mia madre, che è una brava donna, e previdente, e mi aveva dato degli stivali di cuoio nuovi, e robusti, che ancora non avevo tolto da quando ero arrivato lì, e anche se il lupo mi aveva azzannato un piede, anche se mi faceva male e sentivo i suoi denti che schiacciavano, in realtà finiva lì, non ce la faceva a mordermi la carne, che gli stivali mi proteggevano. Infatti io finisco a terra e più per istinto che per ragione mi volto, faccio perno sulla gamba che mi sta mordendo e con l’altra gli tiro un bel calcio. È successo così, mica sapevo che era la mossa giusta da fare, però è successo e il lupo si è preso una bella botta sul naso e non deve essere stato contento, si vedeva che non gli faceva piacere. E adesso che ero voltato ho pensato che forse tanto valeva almeno un po’ lottare prima di essere divorato e ho cominciato a dargli dei calci col tallone, e dai e dai, alla fine ha mollato il colpo. È stata una piccola vittoria e mi ha dato un granellino di coraggio, e a quel punto ho fatto forse l’unica cosa furba di questo incontro: ho cominciato a lanciargli dei sassi, che tanto ce n’erano. Vedete se riuscite a immaginarmi, mezzo sdraiato su questo cumulo di macerie, la fronte ancora coperta di sangue dalla sassata di donna Donata, che grido e piango – perché, se devo dire la verità, un po’ stavo piangendo – e lancio sassi a questa bestia, e tanti, tutti quelli che riesco ad afferrare con le mani. Non dovevo essere un bello spettacolo.

Però forse era la cosa giusta da fare. Forse l’ho spaventato, o forse il lupo ha pensato che non ne valeva la pena. Non che gli abbia fatto un granché col mio assalto: un paio di sassetti l’hanno anche preso, ma per la grande parte mancavo il bersaglio, anzi, il bersaglio quasi non lo vedevo, tra lacrime e paura. E però, dai e dai, la bestia è arretrata, sempre tenendomi d’occhio, sempre con il muso basso e lo sguardo cattivo, da sotto in su. Il lupo arretra, ringhia piano, si ferma. E poi finalmente mi volta le spalle e inizia a girare lì attorno. Esplora.

Ve la faccio breve, che non vorrei annoiarvi. Quando mi sono un po’ calmato e ho iniziato a pensare che forse, forse non sarei morto quella mattina, lentamente la mia mente si è snebbiata e ho capito due cose: la prima è che il lupo aveva fame, che quando camminava gli si vedevano le costole, che l’inverno era stato duro più per lui che per me, e quasi metteva pena. E la seconda è che era stato l’odore del mio mangiare, il burro sul fuoco, e la carne che sfrigolava, e magari anche il vino, era stato tutto questo ad attirarlo. Che magari la bestia stava girando per i boschi lì vicino a cercare un qualcosa, un topino, uno scoiattolo, qualcosa da rosicchiare, e io spando certi profumi, e magari gli è venuto in mente di venire a controllare, di guardare un po’ cosa servono alla mensa, e vedere se c’è qualcosa anche per lui.

Il lupo esplora, gira attorno al fuoco, che sente l’odore ma le fiamme lo spaventano, e poi viene da me e mi guarda e si vede che cerca di capire se è il caso di provare ancora a sgranocchiarmi e io, che ormai mi ero un po’ calmato, io inizio a pensare a un piano, raccolgo un legno più intero degli altri, e dei bei sassi, e penso che dovrò proprio scendere, dovrò proprio scacciare questa bestia e affrontarla in qualche modo, che se aspetto che se ne va da sola faccio notte, e non voglio che la mia colazione vada a fuoco, e però mi tremano le mani, e le graffiate e i tagli delle erbe selvatiche hanno iniziato a prudere ben bene e penso che adesso vado, che è il momento, che forse in fondo un po’ di coraggio ce l’ho anche io.

E poi succedono due cose. Primo, il lupo ulula. Un grido forte, cattivo, che rimbomba nella valle e passa sopra le punte degli alberi e un paio di uccelli volano via spaventati ed ecco che in un momento tutto il coraggio mi si scioglie come cera e vola via pure quello. E secondo: arriva lui, il sior Bernardo, l’eremita nudo.

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