EXPL 11: binario inevitabile

Questo posto è un treno. Arrivo in una carrozza di seconda classe, un po’ spaesato. Ho tra le mani il biglietto, ma non se devo risalire verso la testa (alla mia sinistra) o procedere verso la coda (alla mia destra) per arrivare al posto assegnatomi, in prima classe. L’interno del treno è sui toni del verde pallido e del marrone. I sedili sono coperti da una guaina plastica piuttosto rigida, che qua e là si sbriciola e rivela un’imbottitura di un giallo malsano. Dappertutto ci sono scritte fatte con pennarelli a punta molto larga, per lo più simboli alchemici e circoli di trasmutazione. La carrozza è illuminata da tre lunghi tubi al neon, ma uno è danneggiato e tentenna con un sottile ronzio. Il treno sta viaggiando per una campagna congelata e porpora. Ci sono tre viaggiatori.

Il primo è un uomo grasso. Camicia gialla con motivi di frutta, ananas principalmente, alternati a qualche raro kiwi. Indossa dei pantaloni color cachi e dei sandali che gli intrappolano due piedi che saranno presto martoriati dalla cattiva circolazione. Con il suo corpo enorme occupa due sedili. Mi guarda con degli occhietti porcini, il suo odio è palese. Proseguo nel vagone e lo supero. Il secondo viaggiatore è una donna vestita di nero, indossa un abito aderente, di velluto, con ampi sbuffi nelle maniche e forse un piccolo strascico. Mi è difficile metterne a fuoco la forma precisa. La donna non siede composta, è contorta sul sedile, somiglia a certi rampicarti avvinghiati, ma molto più nera. La sua pelle, manco a dirlo, è bianchissima. Solo i capelli corvini tradiscono la misura dell’artificio: ha la ricrescita castana. Nel sedile accanto a lei c’è uno zaino che lascia intuire un carico di oggetti rettangolari, forse libri e quaderni. La donna guarda fuori dal finestrino in maniera studiata, ma è palese che mi tenga d’occhio. Proseguo.
Il terzo viaggiatore è un religioso: camicia nera, colletto bianco, pantaloni grigi, piccola spilla a forma di croce. Ha quattro braccia e gli occhi socchiusi, come in un profondo stato meditativo. Le mani sono coperte di tatuaggi geometrici. Intravedo un esagono, su ogni lato c’è una parola: SOLO – DIO – PUÒ – SOLLEVARE, ma le ultime due sono coperte dalla manica e non riesco a leggerle. Proseguo verso l’altra carrozza e mi ritrovo da capo, all’estremo opposto di quella che ho appena lasciato. È uno di quei posti minimi, piccolissimi, a spazio ciclico. I tre viaggiatori non paiono aver mutato i loro atteggiamenti: il grassone mi odia, la tenebrosa vuole sdegnosamente che la ammiri, il prete esaarticolato cerca la sua verità e non bada a me. C’è probabilmente una qualche logica, ma mi sfugge.

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