Il sogno della lamia

Scena 1: la lamia viene risvegliata

“Sua maestà, vi imploro, fermatevi.”
“Ripetilo”
“Fermatevi?”
“No, l’altra parte. La prima.”
“Sua maestà.”
“…”
“Oh.”
“Procedete! Aprite il sarcofago!”

I servitori puntellano le leve e spingono tutti assieme, e ancora non basta a smuovere il coperchio. Gli scalpellini iniziano a smembrare la statua posata sopra, che adorna e sigilla, dopo un’ora hanno spezzato le braccia, la testa, quattro spirali coperte di squame molto, molto realistiche. Alleggeriscono, scheggia dopo scheggia, e finalmente il coperchio si sposta, si scrosta, si sblocca,  riescono a infilare le spranghe e a spingere.

Lei, la creatura, la lamia, apre gli occhi. Un po’. Ha sonno, un sonno terribile. Le persone piccole le parlano, dicono qualcosa che lei dovrebbe capire, forse. Ma gli accenti sono tutti sbagliati e poi è noioso. Sbatte gli occhi e metà della spedizione implode, in silenzio. Gli altri scappano, lei si sgranchisce le spire. Poi li raggiunge.

Scena 2: la lamia nel deserto

È passato un mese. Attorno alle rovine del tempio c’è un deserto distrutto di cose rotte e ammazzate. Niente di divertente attraversa il suo territorio, la lamia si annoia. Ogni qualche giorno qualche raro uccello sorvola. Lei sbatte gli occhi e l’uccello si comprime, poi un fagotto rosso cade piano.
La lamia può essere tutto. Decide, al colmo dell’apatia, di essere un oracolo. Diverrà profeta di se stessa. Le costa qualche energia, ma lei ha sempre energie. Chiude gli occhi, si assopisce, sogna.

Scena 3: la profezia

Tu taglierai un milione di teste
poi, lui.

Scena 4: la lamia si risveglia

Sono passati mille anni, lei riapre gli occhi. Attorno c’è una città strana, palazzi altissimi e tecnologia. La profezia le rimbomba dentro, sa che deve lavorare molto per avverarla. L’hanno messa in un museo, hanno costruito macchine grandi quasi quanto lei. Tutto questo deve finire, ora. Comincia a  scuotere il pavimento, come un lenzuolo. Tutti i pavimenti.

Scena 5: arriva

Attorno a lei c’è di nuovo il deserto. Le rovine della città enorme e di quattro eserciti. Molte crepe e molte fratture. Anche il cielo non è sano, dalla luna manca un morso. Nell’aria c’è una spirale, sopra di lei, a perdita d’occhio, su tutto il pianeta. La lamia può essere tutto. Decide di essere paziente. La sua memoria è difficile, fatica a contare, ma dovrebbe aver raggiunto la quota. Un milione di teste. Attende.

Lui arriva come una leggenda, a cavallo. Ha un’armatura finta, che lei liquefa con un sospiro: non rallenta. Ha un cavallo grigio, che lei fa bollire morto: lui cade, rotola, corre verso di lei, ai suoi piedi, che lei non ha. Arriva sotto al suo corpo di serpente e lei si china e lo afferra e lo solleva e lo guarda bene: è piccolo e nudo e deciso. Soprattutto, è bello.

Scena 6: scopano

Scopano tanto, e bene, e con forza. All’inizio lei lo scopa tenendogli un artiglio sulla gola, come dire: “ti ucciderò”. Lui non accetta mai la minaccia, non ha mai paura. La scopa con forza, con tutto l’ardore del suo piccolo corpo mortale contro l’enorme corpo mitologico di lei. E lei sente questo: non il piacere, ma la tenacia.
Lei gli fa ciò che vuole, quando vuole lo usa, lo spezza, lo guarisce molto o appena abbastanza e lo trasforma tremendamente, ma poi torna a renderlo umano e originale e lentamente gli toglie l’artiglio dalla gola e dopo settantuno giorni ininterrotti fanno anche l’amore. La lamia non capisce e per un attimo chiude gli occhi, sorpresa dal tepore mammifero.

Scena 7: succede

Lei riapre gli occhi e deve essere passato del tempo. Lui è più vecchio, si è costruito una capanna, è meno forte e più malfermo, lei lo afferra e lo guarisce dalla malattia del tempo, lo scopa di nuovo e ricominciano. Lontanissimo, un generale osserva la scena. La lamia sente il peso del suo sguardo e lancia un colpo, fatalissimo, senza perdere il ritmo del coito.
Continuano per tredici cicli. Lei a volte si addormenta, per brevissimi istanti. Una volta al suo risveglio lui è morto. Lei lo guarisce dalla malattia della morte e ricominciano. Un’altra è prigioniero, lontano, trattenuto da chi la vuole distrutta, lei lo richiama attraverso le prigioni e i cieli e i sassi.

Fatalmente, succede: lui è stato riplasmato e ricreato così tante volte che un po’ di lei è entrata in lui, e lui si è fatto così simile a lei che ecco, il suo seme attecchisce, lei ospita una nuova vita.

Scena 8: figlio

Il dolore è terribile e le squarcia le carni, e lei grida e strappa le montagne e sanguina e sente la vita prosciugarlesi e per la prima volta ha paura, questa cosa l’ha resa debole, questa cosa l’ha resa mortale, niente la poteva ferire e niente la poteva uccidere ma qui, ora, le cose sono cambiate e finalmente capisce il piano di lui, impossibile debellare il mondo dalla lamia, impossibile affrontarla con gli eserciti, ma ora, invece, adesso che un figlio le sta attraversando le carni, ora che è distrutta, sconfitta, spezzata, adesso lui può agire, adesso lui deve agire, e lei non ha forza e lui prende una spada da chissà dove e chiude la profezia.

Sipario.

(Racconto pubblicato su Typee, con appena qualche modifica per stare nel limite dei cinquemila caratteri)

Solite cose social:

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *