Steven Erikson – I giardini della luna

Che fatica, che fatica. Ma lo sapevo, eh. Cioè: sapevo che era una possibilità concreta, l’enorme fatica, ma uno lo mette in conto e spera che, alla fine, ne valga la pena.

Dunque, le seguenti cose mi erano note prima di iniziare la lettura:

  • “I giardini della luna” è il primo libro di un ciclo di dieci (10) romanzi, tutti bei tomi di sei-ottocento pagine, che compongono il ciclo di Malazan (che poi, sarebbe il ciclo di “Malazan dei caduti” – Malazan of the fallen – e non “La caduta di Malazan”, come è stato tradotto, ma ci ritorniamo)
  • è un’opera divisiva: stando all’internet, o la ami o la odi
  • Brandon Sanderson mi aveva avvisato della sua vertiginosa learning curve: ci stanno un sacco di concetti, idee, usi e costumi che vengono scaricati tutti assieme sul lettore. Vedi tu come riesci a stare a galla, qua non si fanno sconti a nessuno
  • la genesi dell’opera è il sogno bagnato di ogni nerd: l’autore (e un suo amico) costruiscono questa ambientazione per giocarci di ruolo (a GURPS!). Poi la cosa cresce e provano a farci un film, ma non se li fila nessuno. Allora Erikson ci scrive un romanzo (questo, appunto) più i piani per tutto il ciclo di dieci libri. Fa il giro delle case editrici e alla fine intasca uno dei più generosi contratti per serie fantasy (come anticipo gli danno un milione di euro, per dire)
  • volevo perdermi. Ogni tanto capita a tutti, e la prospettiva era ghiotta: migliaia e migliaia di pagine per farmi dimenticare er mondo ‘nfame.
Mi sono dovuto accontentare di mettere un uccello generico per rappresentare i Grandi Corvi, una delle razze fantastiche del libro. Questo perché in casa non avevo una melanzana, che mi avrebbe permesso un gagliardissimo gioco di parole con Malazan.

È con questo spirito che mi avvicino all’opera. Prima pagina: mappa della regione dove si svolgeranno gli eventi. Un classico. La mappa è stampata un po’ piccolina e non si leggono bene i nomi dei posti, ma vabbè. Giro pagina: altra mappa, questa volta di una città. Anche questa un po’ piccolina, e con i nomi di strade, porte e luoghi notevoli in inglese. Piccolo segnale d’allarme sulla scarsa cura dell’edizione italiana, ma facciam finta di niente. Giro pagina: elenco dei personaggi divisi per gruppi e sfere politiche d’appartenenza. Totale: 92 personaggi. Ok. Faccio un respirone e inizio a leggere.

Il primo paragrafo già mi fa incazzare. È un’incazzatura che mi porterò dietro per tutte le seicento pagine. È scritto male, e non riesco mai a capire se è colpa dell’autore originale o della traduttrice (Lucia Panelli, che qua si fan nomi e cognomi). Cioè, ci sono dei pezzi dove è chiaramente un problema di traduzione, le frasi in italiano suonano male e innaturali, e in controluce si vede la struttura verbale inglese, modi di dire tradotti alla lettera e tutto quanto. E poi refusi, specie sui nomi (dove il correttore automatico di Word non ti può aiutare) e verso il finale ho anche trovato una cosa ancora in inglese (“Moon’s spawn”, mentre per tutto il resto del romanzo era “La progenie della Luna”). Quindi: la traduzione ha le sue colpe.

Ma non può essere solo quello. Le descrizioni, ad esempio, latitano: ogni tanto sono introdotte delle razze (di animali, di creature, di robe) solo per nome. E non vengono mai descritte. Immagina: il nostro eroe avanzava cauto, spada in pugno, quando d’improvviso vide davanti a sé un lonfo (che molto raramente barigatta). Ecco. E non è fatto come scelta estetica. Douglas Adams lo fa come scelta estetica, per il gusto del surreale, del comico, della parodia. No, qui ci dobbiamo accontentare di parole inventate, e a posto così. Dai una volta, dai due, e mi è venuto il sospetto che non fosse una raffinata mossa stilistica, una roba da duri e puri. No. È proprio un problema narrativo.

E poi la trama, cazzo, la trama. Per metà del libro ci stanno due superpotenze che si gonfiano, si gonfiano, e sappiamo che prima o poi andranno a scontrarsi. È inevitabile. Poi SPOILER1.

E i deus ex machina, quanti cazzo di deus ex machina. Già li sento i fan: “Ma no, erano regole oscure della magia/misticismo/alchimia/politica che a un certo punto entrano in gioco”. Ma neanche per sogno. Che poi, anche se fosse, è comunque segno di una cattiva narrazione. Non puoi far scattare dei meccanismi di cui non sospetto neanche l’esistenza. Non mi sento sorpreso, mi sento tradito.

E quindi niente, delusione. Speravo di perdermi, mi son trovato inchiodato qui, sul divano, a mandare accidenti. Peraltro mi ha rallentato la coda di lettura, perché dopo che hai letto trecento pagine sei lì che pensi: adesso migliora, adesso parte, adesso ha introdotto tutti i personaggi, e poi SPOILER2. E però poi non sei felice di riprendere in mano questo tomo, e però non vuoi piantare lì, e insomma leggi meno. A me è successo così.

Non è, ovviamente, tutto da buttare. Ad esempio mi è piaciuta la mega-convergenza di personaggi che, sparsi per tutta la storia, alla fine si ritrovano – per motivi tutto sommato credibili – alla medesima festa, climax della vicenda. E qua e là, sì, c’è qualche bel colpo, qualche bel personaggio (Dispiacere e Kruppe sono i miei preferiti). Ma sono isole, isole sperdute in un mare di fatica,

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Continua a scrollare per leggere gli spoiler:

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SPOILER1: una delle due viene ammazzata dagli sforzi congiunti di un gruppo di protagonisti, e quindi nelle ultime cinquanta pagine vien fuori un’altra superpotenza che è sempre stata lì, in agguato, pronta a scatenarsi, che farà a botte con quell’unica rimasta delle due originali per poter aver un po’ di fuochi d’artificio.

SPOILER2: nelle ultime trenta pagine (di seicento) viene introdotto un intero nuovo gruppo di personaggi, sono cinque o sei, si fanno vedere, dicono il proprio nome, vengono descritti sommariamente e spariscono. Immagino siano personaggi che torneranno nei capitoli futuri. Ma mannaggialcristo qui che mi stanno a rappresentare? Erano necessari? No. Senz’appello.

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