La vocina

La notizia si sparse come un incendio: era arrivata una carovana in paese. Che tipo di carovana fosse nessuno lo sapeva con certezza, qualcuno parlava di acrobati e giocolieri, qualcuno di predicatori e sant’uomini. A Marta, la figlia del maniscalco, non importava poi molto: a undici anni ogni novità è un’avventura e lei non vedeva l’ora di andare a spiare questa meraviglia.

Ma sua madre non voleva. Sua madre portava i capelli fermati da un unico pettine d’osso e badava alla casa e badava all’orto e raccoglieva le castagne e intrecciava le ceste e aveva sempre qualcosa da fare e trovava sempre qualcosa da far fare a Marta e alle sue sorelle e ai suoi fratelli. Undici in totale, ma la famiglia crescerà ancora. Il padre di Marta lavorava molto, ringraziamo il cielo e i cavalli dei signori, e ormai Marta era quasi grande e c’era bisogno di lei in casa. Che ci andassero gli altri, come tanti pecoroni, tu stai qui e non se ne parla.

E ci andavano, gli altri. Marta rosolava a fuoco lento per ogni nuova voce, per ogni nuovo pezzettino di storia che le arrivava, portata dalle famiglie vicine, dagli altri ragazzi, persino dal prete. Un acrobata aveva saltato sopra quattro botti infuocate, un uomo dei miracoli camminava sui carboni ardenti, un predicatore parlava dell’inferno con parole così vive che tutti sudavano, a sentirlo. Già stavano allestendo una grande catasta, già si sapeva che ci sarà una pira, a sera, e attorno alla pira tutti balleranno e canteranno ed è il giorno più bello dell’anno e Marta deve stare qui, a filare la stupida lana.

«Oppure no.»

C’era la solita vocina, dentro di lei. Cioè, non era proprio una voce che si sente con le orecchie, come qualcuno che ti parla piano. Era più come quando pensi alla voce di qualcuno, alla voce di tua madre o di tuo fratello che ti chiamano. E riesci a pensarci, riesci a immaginarla, vicina. Ecco. La voce nella testa di Marta le parla così, e le dice, ogni tanto, di fare qualcos’altro. Qualche dispetto. Qualche trucco. Non cose cattive, eh. Cose, insomma, un po’ egoiste.

Marta non vuole pensare che sia qualcuno che gliele dice, che ci sia un diavoletto che le sussurra le cose. Ma allora se non è un diavoletto vuol dire che la voce le viene da dentro, che è un po’ di lei che pensa quelle cose, e non le piace questo pensiero. Guarda il sacco sul tavolo: è ancora mezzo pieno, la mamma dice che ha fatto un affare, un intero sacco di lana appena tosata. Marta tira fuori un bioccolo. È bianco grigio e sa odore di animale. Molto, molto soffice. Chissà perché, le viene in mente che brucerebbe bene. In un attimo andrebbe in fumo e non si lascerebbe dietro niente. Si guarda attorno: sua sorella Paola fila senza fare storie, canticchia una stupida canzone e assomiglia a una mucca. È sempre brava, Paola. E anche la piccolina, Ermanda, ci prova ad aiutare, che se la guardi ti viene da ridere, con le sue ditine non riesce a stringere bene la lana ma ci vuole provare ad aiutare le sorelle grandi.

«Solo un momento, dai. Trova una scusa.»

Marta non sa da dove le viene quel pensiero, ma adesso si sta facendo insistente e farebbe proprio bene a tacere, che lei non vuole dare noie e finire nei guai. Stasera ci sarà tempo. Sicuramente dopo cena sua mamma le darà il permesso di andare, hanno filato tutto il giorno e un po’ di riposo ci vuole e insomma bisogna anche mettersi il cuore in pace.

Si è quasi convinta, ha quasi deciso che basta, oggi farà il suo dovere come è giusto che sia. Ma poi arriva la musica: prima i tamburi, un ritmo facile e veloce, di quelli che li impari subito. Poi si avvicinano e si sente il resto: i flauti e le pive, le vielle e le trombe, tutti quanti tutti assieme con gioia. Marta conosce la canzone, che la cantano anche i frati al convento, e però è diversa, più ritmata, come più calda. Resiste ancora un momento, si guarda attorno, cerca aiuto: Ermandina si mette a ridere e prova a camminare verso la porta, verso il fuori. Paola la acchiappa e la rimbrotta bonariamente: “Dove vuoi andare, tu? Su, su, guarda quanta bella lana.” La musica giunge al culmine, è proprio qui fuori, vicina, vicinissima, e Marta non ce la fa più: lascia cadere il fuso ed esce. Sente a malapena sua sorella che la chiama, un po’ preoccupata, un po’ compiaciuta: “Guarda che la mamma si arrabbia!” Ma Marta è già fuori, che balla.

[Articolo pubblicato anche su Typee].

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