Il custode dell’eremita #6: la sassata

Come immaginerete, dopo l’incontro notturno non ho avuto cuore di stendermi per dormire. Sono rimasto rannicchiato e in preda allo spavento fino a quanto, con rispetto parlando, mi son trovato con il sedere quadrato. E ho pensato che se aveva fatto tempo a venirmi male al fondoschiena magari la bestia se n’era andata. Mi sono alzato e ho preso un bastone, e nel buio della stanza sono andato alla porta, saltando le poche braci che ancora baluginavano. Fuori la notte era fredda, e limpida, e c’era una bella luna. Il bosco faceva il suo verso e si sentivano le voci degli animali, l’allocco e il barbagianni, ma niente di strano, niente di terribile. Mi sono guardato bene attorno, ho buttato fuori gli ultimi ciocchi che ancora bruciavano e sono tornato dentro. Ho provato a chiudere la porta, che però era scassata, come tutto nella torre, e mi sono accontentato di metterci contro un legno e un sasso per bloccarla, accostata. Poi mi son messo quieto.

Non per dormire, badate, che lo sapevo che dovevo vigilare. Ma almeno stavo al chiuso e mi sentivo più sicuro. Ho anche pensato che avrei dovuto caricare la pistola, tenerla pronta, ma vi confesso una roba: a sparare ci vuole fegato, e io pensavo di non avercelo. Mi sono messo giù, a vigilare, con l’intenzione di fare mattino e poi tornare a casa, che nessuno poteva avere cuore di tenermi lì, tra le bestie e i diavoli, dopo quello che avevo incontrato. Tenevo gli occhi fissi sulla porta e già mi immaginavo cosa avrei detto a tutti, al vescovo Mistragni, a mia madre e mio padre, avrei raccontato che la bestia aveva l’occhio di brace come Caron dimonio e padre Moffati sarebbe stato fiero di me, che mi ricordavo almeno qualcosa delle sue lezioni. Pensavo a questo e vigilavo e sapevo che dovevo fare quest’ultimo sforzo e poi tutto sarebbe tornato normale.

E invece mi sono addormentato. Forse il corpo si è rilassato, forse non sono fatto per la vita militare. Fatto sta che passata un’ora nella stanza buia a guardare una porta immobile, non so come mi si sono chiusi gli occhi. Ho dormito e ho recuperato il sonno perduto: quando mi son svegliato era già ben ben mattina, e sentivo che fuori c’era una voce che chiamava.

Era una voce di donna, che chiamava a gran voce, “Sior Bernardo, sior Bernardo!” E dopo poco, non paga, bussa anche, ma proprio sulla mia porta: “Sior Bernardo, siete dentro?” e vedo che infila la mano nella fessura dell’uscio e fa per spingere, ma io avevo bloccato la porta e non si apriva. Intanto mi tiro in piedi e non so bene cosa fare, che ho paura che mi prenda per un ladro, e forse devo aver fatto del rumore perché lei fa “Su, su, che vi sento che siete dentro, sior Bernardo. Aprite.” E io: “No!”

Non so perché ci ho detto così, eccellenza, ho parlato proprio da baggiano, e infatti mi son subito messo le mani sulla bocca, ma ormai il danno era fatto. La donna infatti toglie la mano e si deve essere stupita a sentire la mia voce, ma soprattutto mi è parsa preoccupata. “Sior Bernardo…” mi fa “ma state bene?”

Ora, datemi consiglio eccellenza, che magari voi mi fate entrare un po’ di sale in testa, ditemi: che dovevo fare? Perché io non lo sapevo quel giorno e non lo so neanche adesso, fatto sta che lei – donna Donata, che poi l’ho conosciuta – lei ha chiesto se il sior Bernardo stava bene e io ho fatto un bel pasticcio, ci ho detto “No”, perché volevo che andasse via, e poi le ho detto “Sì”, che non volevo si preoccupasse, e poi le ho detto, e qui davvero non so perché, le ho detto: “Viva il vescovo!”

Donna Donata non la potevo vedere, che c’era la porta in mezzo, ma me la sono immaginata, e adesso me la immagino ancora meglio, che è un donnone che non si fa scoraggiare, me la vedo come davanti agli occhi che incrocia le braccia, storce il naso e poi mi fa: “Chi c’è? Non siete sior Bernardo.” E poi aggiunge, arrabbiata. “Che gli avete fatto?” E qui comincia a picchiare certi pugni sulla porta, che scricchiola tutto e avrebbe finito per tirarla giù, sicuro come l’oro.

Ma scusate, eccellenza, mi dilungo sui particolari. Volete che salti queste parti? Volete che vi racconti un po’ meno in dettaglio?

Ah. Benissimo. Lo vedete anche voi che ogni storia ha il suo passo, me lo diceva sempre padre Moffati. Comunque, se vorrete accelerare, non avete che da dirlo.

Dicevo, c’è donna Donata che picchia sulla porta ed è giustamente spaventata: potevo essere un malfattore e aver fatto del male al sior Bernardo, chiunque egli fosse. Ad ogni buon conto io mi sento in trappola: non voglio fare la figura del ladro, e comunque non ho modo di scappare, e però sentire un’altra voce mi fa bene, dopo tutto quel silenzio e dopo la notte che ho passato. Decido di stare in guardia ma comunque di avvicinarmi. Dico basta, basta, di non picchiare oltre, e aggiungo che aprivo, che stavo aprendo. Per sicurezza mi prendo il bastone, che non si sa mai, e vado alla porta. Dico di non fare scherzi. Donna Donata intanto si è fatta silenziosa, e dovevo capire che qualcosa non andava. Io però ormai mi ero deciso, sposto il legno, sposto la pietra e spalanco la porta. L’ultima cosa che vedo è un sasso che mi vola verso la fronte, poi cado giù come un sacco vuoto e torno a dormire.

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