Il custode dell’eremita #7: glottolalia

Vostra eccellenza guardate qua, ditemi voi se mento: ci ho ancora il segno. Una sassata da fromboliere, ecco cosa mi è arrivata, che ci si può andare a caccia con dei bolidi del genere. Povero Raffaele, esiliato e pestato come l’uva. Io lo so che il Signore non ci dà un’oncia di croce in più di quella che possiamo portare, però, vedete anche voi che-

Sì, eccellenza, scusate. Proseguo. Ero arrivato alla sassata, e al mio pisolino. La cosa che ricordo dopo era un gran dolore alla testa, come immaginerete. Ma non solo, anche un grande peso sul cuore, che mi schiacciava e quasi non mi faceva respirare. Ma non pensate che sia una di quelle cose da poesia, come si dice, una metafora. No, era proprio un peso, e infatti mi sveglio che sto soffocando. Vien fuori che donna Donata quasi mi aveva ucciso con la sassata e, non contenta, quasi mi stava uccidendo ancora: io ero finito per terra e lei aveva trascinato uno dei miei bauli proprio sopra il mio petto e ci si era seduta sopra, al baule. Voleva tenermi fermo e non farmi scappare e non farmi fare danni, ma i danni me li stava facendo lei a me, perché ogni respiro che tiravo mi sembrava dovesse essere l’ultimo.

Fatto sta che donna Donata mi chiede chi sono e cosa ho fatto al sior Bernardo e io riesco sì e no a dire “Raff- ” e lei “Chi?” e io “Raff- Lorp-” e andiamo avanti un po’, che poi più tardi donna Donata mi ha confessato che stavo diventando tutto rosso e blu, rosso per il sangue che perdevo dalla testa, e blu per il colore della mia faccia, e fatto sta che si è mossa a pietà e anche un po’ spaventata, che non è una cattiva persona, donna Donata, e stava davvero agendo per amore del sior Bernardo.

Come? Ah, volete saperlo adesso? Io ci ho messo un po’ a scoprirlo, ma immagino che se volete saperlo ora faccia poca differenza. Il sior Bernardo è l’eremita nudo. Pare che alla fine un nome ce l’avesse, è che noi non lo sapevamo. E, già che ci sono, vi dico anche il resto, che tanto io l’ho scoperto di lì a breve, quando donna Donata si è convinta che non fossi un malandrino.

Succede che per l’eremo alla fine una una strada c’è, ma da qui è lunga, perché bisogna arrivare fino a san Boffazio e poi prendere un sentiero, e insomma si fa il giro della montagna. Ma da san Boffazio non è tanto dura, saranno due ore di cammino, e soprattutto è un sentiero vero, non come quando i servitori del vescovo Mistragni mi hanno portato lì, che abbiamo tagliato per i boschi come le bestie.

E quindi ogni tanto da san Boffazio sale qualcuno e porta da mangiare all’eremita. Lo fanno per buon cuore e carità cristiana anche se, dicono, l’eremita è un uomo di chiesa, e dovrebbe pensarci la chiesa. Non per offendervi, eh, vostra eccellenza, che saprete un po’ voi cosa è giusto fare. Però a san Boffazio dicono così, e voi mi avete chiesto di dirvi tutto, per cui ve lo sto dicendo. E poi c’è dell’altro.

Dicono – mi ha spiegato donna Donata – che l’eremita a volte compia dei portenti. Egli parla le lingue degli angeli e predice il futuro, il raccolto, la guerra, la fortuna dell’uomo. Ecco cosa si dice.

Vedo che vi rabbuiate. Volete che smetta?

Certo, subito. Sì, c’è dell’altro. Gli abitanti di san Boffazio si recano quindi, ogni tanto, dall’eremita. Gli portano del cibo e si occupano di lui, del suo benessere, ed egli a volte fa dei proclami. Ma, e qui le cose si sono fatte complicate, e spero che non vi arrabbierete con me, e spero di non aver fatto peccato, ma ecco, donna Donata mi ha detto, costernata, che purtroppo le parole dell’eremita sono difficili. Egli, invaso dal fuoco divino – dicono loro, per carità, io vi riporto – egli parla e vaticina ma, purtroppo, non si capisce. Spesso resta tutto oscuro.

Come? Potete ripetere la parola?

Glottolalia?

No, vostra eccellenza, credo che nessuno l’abbia mai pronunciata, quella parola lì. Non quelli di san Boffazio, e non l’eremita. La sento da voi per la prima volta: è una parola importante?

Certo, certo, proseguo. Comunque, gli abitanti di san Boffazio sono affezionati all’eremita, lo considerano un po’ parte del paese, un po’ un saggio. Anche se quando parla con gli angeli, appunto, non si capisce bene.

E qui temo che le cose siano andate male. Credo di aver commesso uno sbaglio, ecco. Perché quando donna Donata ha scoperto che io ero prete – e io ho avuto un bel daffare a spiegare che ero appena stato ordinato e non mi sentivo ancora davvero prete – insomma lei si è fatta prendere dall’entusiasmo e ha capito quello che voleva lei, ovvero che io fossi stato mandato lì proprio per le profezie dell’eremita, come dire, per tradurre. Ha cominciato a riempirmi di complimenti e a chiamarmi padre Raffaele, mi ha anche tolto la cassa dal petto, e per quanto io provassi a spiegarmi non ne ha voluto sapere: io per lei ero la prova provata che finalmente la chiesa si stava interessando del loro sant’uomo.

Un momento dopo si stava allontanando, quasi scappava, per tornare a san Boffazio a portare la buona notizia. Ho fatto giusto in tempo a chiederle se sapeva dove fosse, l’eremita.
«È sempre qui attorno, da qualche parte» mi ha detto mentre già si incamminava. «Cercatelo!»

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