Guadalupe Nettel – Petali (e altri racconti scomodi)

Secondo libro regalatomi da R., secondo libro che le dico “Ma sei sicura? Tu l’hai letto, sì?” E lei: “No.”
“E se poi è una merda?” chiedo io.
“A quel punto l’hai letto tu e io mi sono risparmiata la fatica.”
Ok.

I petali dei cactus sono spine, le carezze mie sono schiaffazzi

“Petali” è una raccolta di racconti, quindi mi tocca il mestiere infame di trovare un filo conduttore, che non posso mica sgranare le storie una per una, nella prima succede questo, nella seconda quest’altro. Che noia.

Il filo conduttore, grossomodo e con le eccezioni del caso, è una certa crudeltà. Crudeltà verso questi poveri personaggi, e mista a una generale sfiducia nel genere umano. Nel migliore dei casi siamo invasi dalla tristezza, da un senso di incompiutezza che ci fa intravedere una meta desiderabile, un qualche tipo di catarsi, o anche solo una banale soddisfazione. Il successo è lì, a portata di mano, ma i protagonisti non lo raggiungono mai. Che peccato.

Nel peggiore dei casi sono schiaffi per tutti, la gente si fa male emotivamente o anche, qualche volta, fisicamente. Non c’è scampo.

«Be’, le sembrerà strano, ma le piante sono peggio degli animali: o le curi o muoiono; in poche parole sono un ricatto costante. Ne pianti una e vedrà: quando spunterà la prima foglia, non potrà smettere di annaffiarla; quando crescerà troppo dovrà cambiarle il vaso, magari con il tempo prenderà una malattia. Non creda, signor Okada, le piante sono un fastidio.»

Non è la prima volta che trovo considerazioni del genere. Curare un giardino vuol dire avere a che fare con roba che muore, di continuo

Attraverso le storie c’è un continuum che si intravede, si intuisce appena senza essere dichiarato, qualcosa ritorna, di racconto in racconto, di fallimento in fallimento. Non saprei dire se è un disegno preciso, o se l’autrice semplicemente ha finito le idee e dice sempre le stesse cose. Davvero. Però sicuramente l’atmosfera è ben definita. Se fossimo ancora a scuola potremmo parlare di poetica.

La mia capacità di seduzione arrivava da una miniera inesauribile di frustrazioni da rivendicare e, di conseguenza, era semplicemente irresistibile.

Secondo questa logica dovrei avere gli ammiratori che fanno la fila alla mia porta

È la poetica del cactus in opposizione a quella della pianta rampicante. Il primo è scontroso, ferisce chi si avvicina troppo, fiorisce di rado. Trova un suo equilibrio, ma pagando il prezzo della solitudine. Il rampicante invece prospera, si espande nelle vite degli altri, continuamente copula. Ma senza qualcosa a cui sostenersi e – all’occorrenza – da stritolare finisce per crollare.

Nel complesso: sono sei racconti godibili, con un paio di trovate molto interessanti. Il maniaco, immancabile, riceve la sua meritata menzione d’onore. Credo di aver anche intravisto un omaggio a Murakami. O quello o l’amica Guadalupe Nettel ha un grosso problema nella scelta dei nomi. Libro consigliato ai fan dei bei finali romantici, che è gente che mi sta antipatica ed è giusto che soffrano.

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