Peter Frase – Four Futures

Di solito leggo romanzi per scappare dalla realtà e ignorare la vocina nella mia testa che dice, con una certa insistenza, che il mondo sta andando a rotoli e che siamo tutti spacciati. Funziona, eh. Però a questo giro mi andava di cambiare disco e ho provato a fare il contrario: su consiglio di un amico ho affrontato questo saggio, piuttosto agile a dire il vero, che fa il classico esercizio filosofico di “date le premesse, esploriamo le conseguenze”. All’estremo.

Titolo minimalista, ci piace

Nasce così “Four Futures/Life after capitalism”, del signor Frase, che come cognome per uno che scrive fa già ridere. Se avesse fatto il pittore poteva chiamarsi signor Quadro.
(Vabbè, fatemi dire una cazzata in apertura, che il discorso si farà cupo molto in fretta)

I quattro futuri esplorati si ottengono facendo queste combinazioni:

            | ABBONDANZA  | SCARSITÀ
+-------------+---------------
UGUAGLIANZA | Comunismo ☭ | Socialismo 🌹
GERARCHIA | Rentismo ® | Sterminismo 💀

Sento già un milione di unghie liberiste che grattano altrettante lavagne leggendo “Comunismo” in associazione ad Abbondanza e Uguaglianza. Ci arriviamo, tranquilli. Però devo un po’ spiegare le regole del gioco, prima.

Abbondanza o scarsità: nel futuro che immagineremo ci saranno risorse per tutti? O ci sarà sempre una fetta di popolazione (più o meno grande) in lotta per ottenere accesso a: cibo, casa, scuola, istruzione, lavoro, sanità, tempo libero, dischi di Pino Daniele?

Uguaglianza o gerarchia: nel futuro che immagineremo il potere (formale o informale, non importa) sarà distribuito in maniera omogenea tra la popolazione mondiale? O ci saranno i potenti da una parte e gli sfigati dall’altra?

Ora facciamo le combinazioni e vediamo che succede.

#1 Abbondanza e uguaglianza -> Comunismo ☭

Ok, via il dente e via il dolore. Per far funzionare questo scenario bisogna ipotizzare tra le altre cose che gli scienziati inventino e mettano in commercio degli aggeggini facili facili, ovvero I CAZZO DI REPLICATORI. Per capirci: immaginate di avere a casa un coso tipo microonde. La pulsantiera è un po’ più complicata, c’è un’app per il cellulare, ma poi grossomodo è quella roba lì: uno scatolotto con lo sportello. Tu vai, selezioni quello che vuoi ottenere (un paio di scarpe, un pollo fritto, la classica tazza di te caldo) apri lo sportello e quella cosa che volevi è comparsa dentro, per magia. Anzi no, per tecnologia. Ok.

In un certo senso apprezzo che, per far funzionare il comunismo, il signor Frase dice tra le righe che è necessario fare un salto tecnologico che viola tutto quello che c’è da violare, compreso il primo principo della termodinamica. Però, fuori dalla battuta, c’è anche altro: stiamo parlando di scenari futuribili e utopistici, è vero, e anche fantascientifici, è vero, però anche senza sbracare il discorso si fa interessante. La tecnologia non fornirà, ragionevolmente, i replicatori perfetti e generalisti come quelli di Star Trek, ok. Ma fornirà l’automazione, e l’automazione semplifica, abbassa i costi di produzione, rende comune la sovrabbondanza. Anche senza finire nel fantastico, stiamo già andando in quella direzione lì, è chiaro. Magari non arriviamo così in fondo, così all’estremo, ma la chiacchiera regge.

E l’eguaglianza?

The unemployed become happier, it turns out, as soon as they stop thinking of themselves as workers.

In calce alle statistiche che mostrano che chi vive del sussidio di disoccupazione è infelice, fino a quando poi non va in pensione e a quel punto diventa più contento (statisticamente)

Anche qui c’entra l’automazione, ma al contrario: mette in moto un problema, e in questo scenario la soluzione trovata è perfetta, disneyana, tutti vissero felici e contenti. Sentite qua: tutto si sta automatizzando, c’è sempre meno lavoro. Agli inizi del ventesimo secolo è successo all’agricoltura: prima tutti lavoravano nei campi, poi trattori e mietitrebbie hanno preso il sopravvento. Benissimo: la gente si è spostata nell’industria. Ma anche qui l’automazione è entrata di prepotenza, e tra gli anni sessanta e ottanta anche le fabbriche si sono lentamente svuotate. C’è la robotica, non servono migliaia di operai. Benissimo, in qualche modo. Il grosso delle persone si è spostata nel terziario (in occidente). Ora che stiamo agli inizi del ventunesimo secolo anche questo settore è sotto minaccia, e nello scenario proposto dal libro è ormai capitolato: la gente che ancora lavora, che svolge una professione non automatizzabile (per limiti tecnici o volontà politica) è una fetta minima della popolazione, tutti gli altri sono a spasso, non c’è bisogno di così tanti lavoratori. Ma tranquilli, non è un problema, c’è il reddito di cittadinanza (o di esistenza): a tutti è garantito un salario minimo. Succede di più e di meglio: con lo stabilizzarsi della società l’uso del denaro lentamente svanisce. Poi svaniscono i bordi tra le nazioni, la gente si omogeneizza e si mescola. Finisce che ci vogliamo tutti bene sotto un grande arcobaleno a otto colori, kumbaya kumbaya.

In sintesi: contrariamente a quanto c’era scritto ad Auschwitz, il non lavoro rende liberi. Il signor Frase giustamente non si preoccupa del milione di dettagli che rendono difficile il percorso verso questo idillio tecnocomunista. A lui interessa il risultato finale. Daje. Se le cose andranno così sarò felicissimo di mangiarmi il cappello.

#2 Abbondanza e gerarchia -> Rentismo ®

Secondo me questo è il futuro di più probabile, almeno sul breve termine. Anche perché in pratica già lo stiamo vivendo. Ma partiamo dalle cose importanti: la parola “rentismo” fa schifo. Non sapevo come tradurre il termine inglese rentism, che a sua volta viene dal francese rentier, che indica colui che vive di rendita perché possiede titoli, azioni, buoni del tesoro, e insomma un capitale che gli frutta abbastanza da permettergli di non lavorare, di non essere produttivo. Ora che ci penso, forse avrei potuto usare “renditismo”. Ma vabbè, tanto stiamo comunque inventando le parole, lascio rentismo che è più breve.

Nel futuro del rentismo c’è abbondanza: la tecnologia ha fatto passi tali che o arriviamo ai replicatori di cui sopra (che al signor Frase piacciono tantissimo) o andiamo comunque in quella direzione lì. C’è automazione, c’è accesso (teorico) ad una quantità quasi infinita di risorse. Ma un gruppo di cattivoni, armati di una combinazione di brevetti, contratti, appoggi politici e lobbying, riesce a mantenere il controllo dell’economia e ottenere sterminati guadagni, al costo di forzare il resto della popolazione a vivere in una situazione di scarsità di risorse – sebbene le risorse siano, appunto, ormai in post scarsità.

Quanto è irrealistico questo scenario?

The John Deere company, for example, has argued to government officials that it is illegal for farmers to make modifications or repairs to the software that runs their tractors. This is, they say, because nobody actually owns their tractor – they merely have “an implied licence […] to operate the vehicle.”

Thus does the property form mutate, so that even something as tangible as a tractor becomes not the physical property of its buyer, but merely a “pattern” to be licensed for a limited time.

Qui è quando fa lo spiegone su come la proprietà intellettuale è la chiave per dominare il mondo

Al di là degli aspetti di tecnologia e fantascienza, questo scenario mi convince. Non è difficile immaginare un gruppo piccolo e compatto, con in tasca abbastanza soldi e nel cuore abbastanza ambizione, da essere in grado di influenzare l’impianto legislativo di uno stato. Succede sempre, di continuo, dai tempi delle gilde dei mercanti nel medioevo. E poi ho incontrato un passaggio dolorosamente lucido: non deve essere per forza una minoranza all’interno di una nazione. Può essere una nazione intera, ricca, o un gruppo di nazioni, ricche, che dettano le regole del gioco e bloccano l’accesso alle risorse agli abitanti di vicine nazioni, più povere. Che so, tirando su muri di migliaia di chilometri o pattugliando un piccolo e calmo mare. Bomba. Andiamo avanti.

#3 Scarsità e uguaglianza -> Socialismo 🌹

Questo capitolo parte con l’ansia: si parla del cambiamento climatico e di come stiamo trattando di merda l’ambiente. Poi entra in gioco Trotsky e tutto si fa terribile. Non che io ce l’abbia con il buon Lev, per carità, ma certe cose non le digerisco proprio. Ma andiamo con ordine.

Parliamo di scarsità. Quindi, occhio: non ci stanno i replicatori. Non ci sta la tecnologia che salva tutti. C’è l’automazione, per forza, ma non c’è stato nessun salto di qualità. In compenso il clima è andato in vacca, gli ecosistemi sono compromessi, gli oceani acidificati. Non bisogna immaginarsi Mad Max, eh. Bisogna immaginarsi il pianeta com’è adesso, ma un po’ peggio. Meno risorse, più gente che muore di fame, più migranti, più conflitti. Questa l’eredità lasciata alle nuove generazioni: abbiamo perso la battaglia e il mondo è compromesso, gli sforzi ambientalisti si son rivelati insufficienti. Ma non siamo tutti morti.

The real question is not whether human civilization can survive ecological crises, but whether all of us can survive it together, in some reasonably egalitarian way.

Chiediamocelo forte

Dalle ceneri del disastro nasce un nuovo mondo. Senza spaccature nette, senza distruzione e ricostruzione, la società si evolve e impara dai propri errori. Le colpe del capitalismo divengono evidenti, le irrazionalità del libero mercato sono assorbite e superate, l’ambientalismo diventa un valore fondante e non solo una zavorra allo sviluppo economico e finalmente si va verso un qualche tipo di egalitarismo, finalmente diveniamo illuminati, finalmente arriva il socialismo, un governo centrale, giusto, illuminato. Viene in mente quella canzone di Dalla:

Noi sappiamo tutto del motore
Questo lucente motore del futuro.
Ma non riusciamo a disegnare il cuore
Di quel giovane uomo del futuro.
Non sappiamo niente del ragazzo
Fermo sull’uscio ad aspettare
Dentro a quel ghetto del 2000
Non lo sappiamo immaginare…

Lucio Dalla, “Il motore del 2000”, dall’album Automobili, 1976

Non mi convince. Lo stato centralizzato non mi convince. Il mondo è troppo complesso per avere un unico grande centro di coordinamento. L’idea dell’inevitabile vittoria delle masse, lucide, compatte, razionali, masse unite contro i poteri forti e con una chiara coscienza politica, ecco, quell’idea mi sembra più fantascienza di quando il signor Frase ci parla dei replicatori.

Esempio, giusto per fare le pulci. Si parla di Uber, ma per le altre piattaforme legate alla gig-economy il discorso è lo stesso. Succede che i guidatori di Uber finiscono spesso con il cerino, schiacciati dalla concorrenza (sono tanti e in competizione tra di loro), dall’imprepazione (ciascuno usa la propria auto e nei bilanci magari non tengono conto di fattori come la maggiore usura del veicolo) e dalla generale precarietà del sistema. Perfetto. La soluzione, secondo il signor Frase, dovrebbe essere: i lavoratori di Uber si facciano la loro app e la piantino di lavorare per Uber. E, già che ci sono, facciano un’app che garantisce ai partecipanti delle quote sensate, giustizia, superamento di tutti i limiti del vecchio sistema. Facile, che ci vuole?

Ci vuole che per mettere insieme un sistema del genere (e, contestualmente, buttare fuori dal mercato aziende che sono lì da anni) servono un sacco di abilità, fondi, preparativi, iniziative ed energie. E la massa dei lavoratori di Uber quelle robe lì non ce le ha, altrimenti non sarebbero finiti ad usare la propria macchina come taxi. Che non vuol dire che Uber è destinata a regnare per sempre, o che non si possano creare entità dal basso – in Italia la chiameremmo cooperative – che magari strizzino un po’ meno i lavoratori della gig-economy. Ma il loro successo non è inevitabile, con buona pace di Trotsky e del signor Frase.

#4 Scarsità e gerarchia -> Sterminismo 💀

Ultimo scenario, finalmente si balla. Qui non c’è abbondanza e non c’è uguaglianza. Una minoranza della popolazione ha accesso a condizioni di vita ottime, futuribili, fantastiche, e gli altri puppa.

E quindi? Perché, detta così, sembra la situazione in cui viviamo ora. E infatti molte similitudini ci sono. La differenza qui la fa la tecnologia. Nel sistema capitalistico tradizionale i “padroni” hanno sempre avuto bisogno dei “lavoratori” (scusate ma nel 2019 non ce la faccio a scrivere “padroni” senza virgolette). E infatti questa dipendenza è stata un po’ sempre l’asso nella manica dei socialisti: senza di noi la fabbrica si ferma. Se facciamo lo sciopero ci devono stare a sentire. Li teniamo per le palle.

Ma cosa succede se tutto si automatizza? Se non c’è più nessuno in fabbrica? Quale leva hanno le masse di povera gente?

Questo capitolo ci dice: non importa. I boss, quelli con i soldi, non aspetteranno di scoprirlo, ma agiranno e colpiranno per primi, perché si sentono minacciati, perché si sentono autorizzati, perché son meglio loro. Parte quindi una disamina – di gran lunga la parte più interessante del libro – di come questo fenomeno sia già in atto. A parte qualche matto che inneggia apertamente al genocidio del proletariato, il signor Frase ci parla di due fenomeni brutali e indiscutibili: la militarizzazione della polizia e l’espansione del regime penitenziario.

Sono due fenomeni statunitensi, ma visto che da sempre copiamo gli USA non c’è da stare allegri. Negli Stati Uniti la polizia si sta militarizzando: i veterani, rientrati dalle varie guerre, vengono spinti ad entrare nelle forza dell’ordine; le azioni SWAT si moltiplicano; mezzi militari dismessi vengono reindirizzati ai vari dipartimenti di polizia, anche di cittadine piccole, anche in maniera comica. Ad High Springs, in Florida, cinquemila abitanti, hanno in dotazione un mezzo blindato con corazzatura anti-mina. Che non è una cosa negativa di per sé, ma è segno di un cambiamento in atto. Questo è un problema, e visto che il signor Frase è un grande fan della fantascienza mi pareva giusto dare il mio contributo citando una delle mie serie preferite:

Esercito e polizia sono due corpi ben separati. L’esercito combatte i nemici dello Stato, la polizia serve a proteggere il popolo. Quando entrambe le cose le fa l’esercito, allora il nemico dello Stato tende a diventare il popolo.

Comandante William Adama, Battlestar Galactica, S1E03

L’altra cosa preoccupante è l’aumento del numero di detenuti. A parte il piccolo new deal con cui si dà lavoro alla gente (costruendo nuovi carceri e assumendo nuovi carcerieri) il sistema carcerario sembra votato ad inglobare una fetta di popolazione e non mollarla più. Non sono il primo a dirlo e non voglio dilungarmi troppo, tanto non è un mistero, ma ecco qua il mio pensiero: se tratti malissimo i detenuti; se li costringi a stare in un ambiente violento e alienante; se non fai niente per il loro reinserimento nella società, ma anzi rendi facile (o obbligatorio) che un datore di lavoro sappia che sono stati dentro; se rendi quella del carcere un’esperienza punitiva, anche per i criminali minori, anche per i ladri di polli; se fai tutte queste cose poi non stupirti che i criminali vadano in recidiva. E infatti nessuno è davvero stupito.

Il signor Frase ci dice: guarda che il piano è quello. Partiamo dal basso, partiamo dalla fetta di popolazione più disagiata, e la mettiamo dentro. Intanto è un primo passo, poi si vedrà. Dal 2013 il tasso di incarcerazione degli USA è il più alto al mondo, più di 600 prigionieri per 100.000 abitanti, per un totale di più di due milioni di carcerati. Chi ben comincia eccetera.

Conclusione

Sono contento di aver letto questo libro? Sì. L’ho riempito di sottolineature, commenti, orecchie. C’è dentro anche una quantità di roba su cui non sono d’accordo, veh, e a volte quando parla di tecnologia commette delle leggerezze che non so mai bene se siano frutto di ignoranza o di una necessità di semplificare. Ed è molto, molto USA-centrico, e anche quello mi ha fatto incazzare. Ma comunque gli spunti interessanti vincono a mani basse. Lo stesso signor Frase conclude dicendo che non si deve per forza avverare uno solo di questi quattro futuri, e che la realtà nel suo perenne dinamismo potrà passare dall’uno all’altro con fluidità. Staremo a vedere.

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