Il custode dell’eremita #13: buon appetito

Vostra eccellenza non voglio venirvi a noia con i dettagli. Sappiate che in qualche modo l’eremita l’ho rassettato, e ho passato la giornata a pulire e fare posto. La torre, ve l’ho detto, era invasa dal ciarpame, e lavoro ce n’era parecchio. Intanto che facevo ordine tenevo sott’occhio il sior Bernardo, che però non faceva granché, è stato fermo per ore, faceva qualche passo, rideva e borbottava le sue parole senza senso, oppure si fissava a guardare – un sasso, un filo d’erba, le braci del fuoco – fissava e un po’ sbavava, che il signore lo protegga. Gli angeli dovevano stare facendo un discorso molto lungo e molto interessante, ecco, perché mi sembrava davvero preso, e a malapena sveglio.

Il resto di quel secondo giorno è passato così, e a sera ero un po’ stanco, e un po’ demoralizzato. Anche più di un po’, a dirla tutta. Capite anche voi, ero appena arrivato e avevo dovuto combattere un lupo e non sapevo se ce n’erano degli altri in agguato per sbranarci – magari quello che avevo visto era una vedetta, un esploratore come negli antichi eserciti romani, che ogni tanto padre Moffati mi ha anche letto qualcosa di più divertente dei filosofi, ecco, e non voglio offendere nessuno, però insomma c’erano questi racconti delle battaglie, e quasi che valeva la pena imparare il latino per sapere come andava a finire, che poi i romani riuscivano sempre a schiacciare i barbari e gli incivili, e qualche parola anche me la ricordo e mi ricordo che c’erano questi soldati che chiamavano speronatores-

Come? Speculatores? Beh se lo dite voi. Comunque questi andavano in avanscoperta e guardavano i terreni e le valli e le tracce del nemico e ho pensato che magari quel lupo lì poteva essere-

Sì, scusate eccellenza. Dunque. Arriva la sera e mi metto a preparare da mangiare, e qui inizio a preoccuparmi, perché l’unico cibo che c’è è quello che ho portato io, che non è poi molto se dobbiamo mangiarci in due, e dobbiamo farlo, e anzi quasi più di due, che il sior Bernardo si vede che aveva una bella fame arretrata perché a cena inizia a sbafarsi tutto quello che gli preparo, le uova e le patate arrostite e un qualche carota e un po’ di carne e una forma intera di pane. Giuro che non ho mai visto un cristiano mangiare così tanto, e così ingordo, ed era anche un piacere guardarlo, che si vedeva che non mangiava davvero da un bel po’, che potevo contargli le costole.

Mangiamo, e poi l’eremita si mette subito a ronfare. Io speravo che potessimo almeno un po’ dirci delle cose, almeno presentarci. E invece niente, si è piazzato nella sua cuccia come un animale, in quel monte di sporcizia e stracci e piume, e in un minuto già russava. Io sono rimasto lì, misero e nella penombra, che non volevo sprecare le uniche tre candele che avevo per fare luce, ma le braci non illuminavano poi molto. La testa, poi, mi sembrava un mare, turbinava e non stava ferma, continuavo a pensare a quello che era successo, e a come affrontare i giorni a venire, e al mangiare che sarebbe finito ben presto, e ai lupi che secondo me stavano lì fuori, nell’ombra, ad aspettare il momento buono per mangiarci. E pensavo ancora a tante cose che non sapevo ancora come si sarebbero aggiustate. Capite anche voi, ero sperduto. Ho pensato anche a scappare, a tornare qui e implorare il perdono del vescovo Mistragni. Magari gli facevo pietà. Magari, se arrivavo coperto di fango, con le vesti stracciate, un po’ smagrito e un po’ graffiato, magari mi avrebbe considerato abbastanza misero, abbastanza punito. Chi lo sa.

È stato in quel momento che un gran tuono ha scosso tutto quanto, ed è arrivata la pioggia. L’ho sentito da lontano, il bosco frusciava sotto le gocce e il rombo dell’acqua si avvicinava veloce, in un attimo ci è stato addosso, e il cielo ha cominciato rovesciarci addosso gran secchiate di pioggia. Non lo sapevo ancora, ma sarebbe stata una delle notti più miserevoli della mia vita.

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